Di Renzo Allegri
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Giuseppe
Sinopoli
in
famiglia.
Foto
scattata
nel
marzo
1988, in
occasione
dell’intervista
che
Renzo
Allegri
ricorda
in
questo
suo
articolo.
Il
maestro
aveva
allora
42 anni,
mentre
sua
moglie,
Silvia
Cappellini,
pianista,
ne aveva
26 e i
due
figli,
Giovanni,
aveva 5
anni e
Luca, 2. |
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Giuseppe
Sinopoli
sul
podio.
E’
considerato
uno dei
più
grandi
direttori
d’orchestra.
Aveva
studiato
musica a
Venezia,
a
Vienna,
a
Darmstadt
e a
Parigi,
ma senza
mai
conseguire
nessun
diploma.
Si era
invece
laureato
in
medicina
a Padova
e ebbe
anche la
laurea
in
archeologia
alla
“Sapienza”
di Roma. |
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Giuseppe
Sinopoli
nel
1984,
fotografato
da Renzo
Allegri
davanti
all’Auditorium
di
Torino. |
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Dal 7 al 10 ottobre
si svolge a Taormina
la quinta edizione
del Festival che
porta il nome di
Giuseppe Sinopoli,
il direttore
d’orchestra italiano
morto nel 2001 a
Berlino, mentre
dirigeva l’Aida di
Verdi. Aveva 54
anni.
Grande direttore
d’orchestra, tra i
massimi interpreti
degli ultimi
cinquant’anni. Ma
anche celebre
compositore, la cui
musica continua ad
essere eseguita. E
straordinario
intellettuale,
assetato si sapere,
divoratore di libri,
studioso rigoroso:
si era laureato in
medicina, con
specializzazione in
psichiatria
all’Università di
Padova e, quando era
già un direttore
famoso, si era
innamorato
dell’archeologia e
aveva concluso i
corsi universitari
per la laurea alla
“Sapienza” di Roma:
gli mancava solo la
discussione della
tesi, per questo il
corpo accademico
dell’università
romana gli ha
conferito la laurea
"post mortem".
In Giuseppe Sinopoli,
non si può dividere
il musicista
dall’uomo. Erano una
cosa sola. Erano
lui, una persona
straordinaria,
eccezionale, di cui
tutti coloro che lo
hanno conosciuto
sentono forte la
mancanza. Il
Festival a lui
intitolato a
Taormina non è un
Festival settoriale,
dedicato solo alla
musica. E’ un
Festival che gli
assomiglia:
abbraccia musica,
teatro, letteratura,
scienza, costume, le
espressioni della
vita. Giuseppe
Sinopoli è stato
soprattutto un
testimone gioioso
dei valori della
vita. Una persona
civilissima, nobile,
gentile e generosa.
Nel suo
comportamento, era
riservato e schivo.
A un osservatore
estraneo, poteva
dare l’impressione
di essere “un po’
orso”. In realtà,
era solo timido, ma
amabile e cordiale.
Molto attaccato alla
famiglia. Mi disse
un giorno: <<Quando
sono in famiglia
dimentico perfino la
musica>>.
Un uomo che aveva
costruito la propria
carriera con il
lavoro duro,
continuo,
appassionato,
fidando sul proprio
talento e mai su
appoggi esterni.
Quando è mancato,
era al vertice della
sua carriera. Una
carriera
internazionale tra
le più prestigiose.
Eppure, in patria
non ebbe mai quel
riconoscimento pieno
che meritava. Fin da
ragazzo, il suo
sogno era di
arrivare a dirigere
alla Scala. E ci
arrivò solo nel
1994, quando era già
la stella di prima
grandezza dei più
celebri teatri del
mondo. Da un
decennio dirigeva
regolarmente perfino
al Festival
wagneriano di
Bayreuth, tempio
inaccessibile se non
ai miti del podio.
Aveva debuttato in
quel teatro con il
“Tannhauser” nel
1984 ed era dal 1937
che un italiano non
veniva chiamato per
una nuova produzione
a Bayreuth. Ma la
Scala continuava a
ignorarlo. Non si
lamentò mai
pubblicamente, ma
agli amici non
nascondeva la
propria amarezza. Un
giorno mi disse:
<<Quel teatro sembra
stregato per me.
Ogni volta che sto
per concludere un
appuntamento, accade
qualcosa che mandava
tutto all'aria>>. I
Conobbi il maestro
Sinopoli nel 1984
all’Auditorium di
Torino dove stava
facendo le prove di
un concerto. Andammo
a pranzo in una
trattoria. Volle
farmi assaggiare del
pesce dicendo che
neanche a Venezia si
mangiava pesce
fresco come in
quella trattoria.
Era un compagnone
affabile e gioviale.
In quei giorni era
uscita in Italia la
sua incisione, per
la Deustsche
Grammophon, di Manon
Lescaut di Puccini,
con Placido Domingo
e Mirella Freni. Una
lettura
anticonvenzionale e
ricca di umori che
ancora oggi è
straordinaria. Ma
c’erano state delle
critiche. <<Non mi
interessa ciò che
pensano i critici, i
musicisti>>, mi
disse Sinopoli. <<Mi
preoccupo solo di
trasmettere nel
disco ciò che mi
suggerisce lo
spartito. II
direttore è solo un
"mediatore" e non
deve mai tradire il
suo ruolo>>.
Palesava, con quella
frase, la sua linea
di condotta, di
rigoroso “servitore”
della musica, e non
“servo” delle mode,
del successo ad ogni
costo.
Aveva allora 38
anni. Il suo modo di
vivere, di parlare,
quel suo distacco
dal successo, dalla
fama, quella sua
riservatezza, una
specie di umiltà
francescana, palese
anche nel vestire,
suscitavano
curiosità. Era
inevitabile cercare
di sapere di più di
lui, del suo mondo
interiore. Ma sviava
sempre e abilmente
il discorso. Solo
una volta, con me,
si lasciò andare
alle confidenze. Fu
nel 1988, a casa
sua, a Roma.
Aveva concluso una
tournée in Italia
con la New
Philharmonia
Orchestra di Londra,
di cui era allora
direttore principale
e direttore
musicale, e si era
preso alcuni giorni
di riposo. Mi diede
appuntamento nella
sua bella casa, ai
Parioli. Raramente
riceveva giornalisti
in casa. Per lui, la
casa era un
sacrario, dove
vivere l’intimità
della famiglia. Mi
disse che, dovendo
viaggiare molto, per
lavoro, si sentiva a
disagio negli
alberghi. Per questo
aveva una casa a
Roma, una a Vienna,
una a Londra e una
nella campagna
austriaca, sul
confine ungherese.
Quel giorno, in casa
sua, con la presenza
calorosa dei figli
piccoli che si
sentivano giocare in
una stanza vicina,
fu lui a cominciare
a parlarmi della sua
vita privata. <<Per
prima cosa, mi disse
<<io sono un padre
di famiglia
fortunato e molto
felice. Venga, le
faccio conoscere i
miei bambini>>.
Dal salotto, dove
parlavamo, mi
accompagnò lungo un
corridoio alla parte
opposta della casa.
Aprì la porta di una
stanza e, in un mare
di giocattoli,
sparsi alla rinfusa
sulla moquette, due
stupendi bambini
giocavano
tranquilli. Erano
paciocconi come il
padre. Sinopoli, di
fronte a loro, si
scioglieva. Si
sedette per terra e
accarezzava
dolcemente i figli.
<<Questo è Giovanni,
cinque anni, e
questo è Luca, di
due>>, mi disse. Il
più piccolo afferrò
i capelli ispidi del
padre, vi si
aggrappò
letteralmente e,
facendo forza sulle
braccia, si issò
sulla schiena del
maestro che
gongolava felice.
<<Quando sono qui,
con i miei figli>>,
disse Sinopoli
<<dimentico la
musica, le
orchestre, i
successi, tutto.
Questa è la vera
vita, quella che dà
una felicità
profonda, una gioia
piena>>.
Sulla porta si
affacciò una ragazza
bionda, molto bella,
che vestiva in
maniera sportiva.
Sembrava una
liceale. <<E questa
è Silvia, mia
moglie>>, disse
Sinopoli
presentandomela e
svelando così un
altro segreto della
sua vita privata.
Solo gli amici
intimi allora
sapevano che il
maestro era sposato
e aveva due figli.
Sua moglie, Silvia
Cappellini, che,
allora, aveva solo
26 anni, era
un'ottima pianista,
che teneva concerti
in giro per il
mondo.
<<Ci siamo
conosciuti nel
1979>>, disse il
maestro. <<Ero
venuto a Roma a
dirigere un
concerto. Silvia
suonava in
orchestra. Aveva 18
anni. Poco più di un
anno dopo, eravamo
già sposati. Stiamo
bene insieme. Non è
facile andar
d'accordo con me, ma
Silvia ci riesce. Mi
assomiglia. Come me,
ama follemente la
musica, ma anche la
letteratura e la
filosofia>>.
Sinopoli mi
accompagnò nel suo
studio. Era
particolarmente
felice. Lo si vedeva
dallo sguardo.
Riflettendo sul
fatto che, questa
volta, era stato
lui, di sua
iniziativa, a
cominciare a parlare
di se stesso, della
sua famiglia, ne
approfittai. Gli
feci altre domande
personali e voglio
qui riportare
fedelmente le sue
risposte, il suo
racconto. Lo ritengo
illuminante per
capire e amare
ancora di più questo
eccezionale artista
e il mondo culturale
e spirituale in cui
è vissuto e che il
Festival di Taormina
a lui dedicato si
propone di far
conoscere.
Lo studio, in cui,
quel giorno, il
maestro Sinopoli mi
raccontò della sua
vita, era costituito
da una grande
stanza, con due
scrivanie e le
pareti erano
tappezzate di libri.
Quasi tutti volumi
vecchi del
Sei-Settecento.
<<Amo gli autori di
quel periodo>>,
disse il maestro.
<<Io sono laureato
in medicina, ma mi
interesso molto di
letteratura e di
filosofia. Studiare,
leggere, pensare è
molto importante per
me. Mi aiuta a
capire e ad
approfondire gli
spartiti musicali>>.
<<Come mai si è
laureato in
medicina?>>, chiesi.
<<Mio padre, che è
un uomo concreto>>,
rispose Sinopoli
<<riteneva che non
sarei mai riuscito a
guadagnarmi da
vivere con la musica
e ha sempre
insistito perché
prendessi un
diploma. Così, oltre
a studiare al
Conservatorio, ho
fatto il liceo
classico e mi sono
laureato in medicina
all'Università di
Padova>>.
<<Quando ha scoperto
la passione per la
musica?>>.
<<A sei anni. Sono
nato a Venezia, ma
mio padre è
siciliano. Era
impiegato
parastatale e,
all'inizio degli
anni Cinquanta,
venne trasferito a
Messina. In famiglia
nessuno aveva mai
studiato musica e
nessuno aveva
particolari
inclinazioni per
quest'arte. In me la
passione si
manifestò
all'improvviso,
ascoltando una banda
che suonava a un
funerale. Fui
colpito non
dall'aspetto
scenico,
dall'abilità tecnica
degli strumentisti,
ma dall'atmosfera.
Quei suoni, in
quella particolare
circostanza, con i
parenti del defunto
che gridavano per il
dolore, i sacerdoti
con i paramenti
neri, assunsero
dentro di me una
dimensione
particolare di
un'intensità emotiva
fortissima. Rimasi
soggiogato da quel
rito, al punto che
spesso marinavo la
scuola per andare ad
ascoltare le bande
che suonavano
durante i funerali.
Non provavo
interesse per le
bande che suonavano
nelle piazze, alle
feste: solo quelle
dei funerali mi
sconvolgevano. Era
un atteggiamento un
po' strano, ma fu
così che mi
appassionai alla
musica.
<<Ai funerali
conobbi il maestro
Alessandro Gasperini,
organista nel Duomo
di Messina, che
divenne il mio primo
insegnante di
musica. Con lui
cominciai a studiare
violino e
composizione. La mia
fantasia creativa si
scatenò subito.
Benché conoscessi
appena i primi
rudimenti
dell'armonia,
cominciai a scrivere
come un forsennato.
Componevo con la
foga di un genio e
ogni giorno riempivo
pagine e pagine di
melodie.
<<Andai avanti così,
prendendo lezioni
dal maestro
Gasperini, fino
all'età di circa
quindici anni. Poi,
la mia famiglia si
trasferì di nuovo a
Venezia. Bisognava
prendere una
decisione. Mio padre
era preoccupato per
il mio avvenire.
Secondo lui, la
musica non mi
avrebbe dato da
vivere e così, per
tranquillizzarlo,
decisi di
frequentare anche il
liceo e l'università
insieme al
Conservatorio.
<<Furono anni
difficili. Lavoravo
moltissimo. Non
sapevo cosa fossero
i giochi, il
divertimento. Ero
sempre indaffarato a
far compiti. Quando
frequentavo
l'università, ogni
mattina dovevo
andare a Padova. Mi
alzavo alle sei,
facevo i compiti in
treno.
<<Era il periodo del
Sessantotto. La
contestazione
studentesca
infuriava.
Soprattutto
all'Università di
Padova e io non ne
fui estraneo.
Condividevo in pieno
la necessità di una
riforma della
società e della
scuola, e mi battevo
per questi ideali.
All'università, e
soprattutto al
Conservatorio di
Venezia, ero
considerato un
rivoluzionario.
Qualcuno ha detto
che i professori mi
temevano perché
portavo scompiglio e
disordine. Non è
assolutamente vero.
Ho aderito al
movimento
studentesco ma sono
stato sempre contro
la violenza.
<<Quando mi accorsi
che il movimento
veniva
strumentalizzato,
piantai tutto e me
ne andai via. Nel
1971, infatti,
appena conseguita la
laurea in medicina,
lasciai Venezia e mi
trasferii a Vienna.
<<La mia non era una
famiglia ricca, da
poter permettersi di
mantenermi in un
residence. Io sono
il primo di nove
fratelli e i miei
genitori dovevano
pensare agli altri
figli. A Vienna
dovetti arrangiarmi.
<<Avevo conseguito
la laurea in
medicina solo per
accontentare mio
padre. Ora volevo
dedicarmi
completamente alla
musica. Al
Conservatorio di
Venezia non mi ero
trovato bene, e non
avevo concluso
niente. Avevo, però,
fatto amicizia con
un grande musicista,
Bruno Maderna, che
mi aveva insegnato a
frequentare le
biblioteche,
soprattutto la
Marciana, dove sono
conservati i
manoscritti di
diversi grandi
musicisti del
passato, Sammartini,
Vivaldi, Benedetto
Marcello, che
divennero i miei
veri maestri. Volevo
diventare un grande
compositore.
<<Feci gli esami per
essere ammesso
all'Accademia di
Vienna e li superai.
Lì, conobbi il
maestro Hans
Swarowsky, che
insegnava direzione
d'orchestra e che ha
formato tutti i
migliori direttori
in attività da Zubin
Metha ad Abbado,
Muti, Ozawa.
Diventammo amici e
Swarowsky un giorno
mi disse: "Tu sei
nato per fare il
direttore
d'orchestra", e mi
convinse a dare un
nuovo indirizzo alla
mia vita.
<<Studiai con
Swarowsky ma quando
ero all'ultimo anno,
il maestro si ammalò
e mori. Provai un
grande dolore e non
volli continuare con
un altro insegnante.
Lasciai l'Accademia
di Vienna e mi
trasferii a
Darmstadt, dove
ripresi a studiare
composizione. Poi
andai a Parigi, per
studiare con Boulez.
Scrissi alcune opere
sinfoniche molto
interessanti, che
furono eseguite con
successo. Stavo
facendomi un nome
importante come
compositore, ma, un
giorno, un amico,
direttore artistico
di un teatro, mi
chiese di dirigere
un'opera di Verdi e
la mia vita cambiò
di nuovo. Ricevetti
molte offerte e
continuai a fare il
direttore
d'orchestra».
<<E smise di
comporre?>>
<<Sì, ma non perché
le due attività
fossero in
contrasto. Da tempo
non ero pienamente
soddisfatto di
quello che scrivevo.
Mi interrogavo sulla
musica
d’avanguardia, di
cui ero un
esponente. Nel 1975
avevo dato inizio a
una nuova corrente
che poi è sfociata
in quella oggi
sostenuta dal gruppo
dei “neoromantici”.
Nelle mie
riflessioni era
arrivato a una
conclusione
pessimistica. Per
me, la musica era
finita, era stata
scritta tutta.
Quello che si
tentava di fare, e
che io stesso
facevo, erano solo
"parafrasi",
"commenti" su ciò
che era già stato
scritto. Gli ultimi
compositori, secondo
me, sono stati
Brahms e Bruckner.
Poi è venuto il
dilania mento
visionario di Mahler
e c'è stato ancora
un lieve sussulto
con la scuola di
Vienna. Io ritengo,
per esempio che il
rock, di cui sono
appassionato, riesca
ad esprimere le
tensioni della
società moderna
meglio della
cosiddetta musica
contemporanea colta.
Per questo,
iniziando l’attività
di direttore, ho
smesso di scrivere
musica>>.
<<Lei ha studiato
musica a Venezia, a
Vienna, a Darmstadt,
a Parigi: dove si è
diplomato?>>,
chiesi..
<<Da nessuna
parte>>, rispose.
<<In musica, non ho
conseguito nessun
diploma. Ho studiato
molto, e nei vari
conservatori ho
trovato cose buone,
ma anche cose poco
buone, che
contestavo
trasferendomi
altrove. Per questo
non ho nessun titolo
accademico in
musica. Ma sono in
buona compagnia
perché neppure
Verdi, Schoenberg,
Berg erano
diplomati. Ma questo
fatto non ha
impedito che
tornassi come
professore nelle
scuole dove non
avevo conseguito
nessun titolo di
studio. Ho, infatti,
insegnato a Venezia,
a Vienna, a
Darmstadt e anche a
Parigi».
Renzo Allegri |