E’ arrivato in libreria
l’ennesimo libro dedicato a Giovanni Paolo II: un
grosso volume di 640 pagine pubblicato dalle
Edizioni San Paolo con il titolo “Diario di
un’amicizia” e il sottotitolo “La famiglia Poltawski
e Karol Wojtyla”.
Tra i numerosi libri che sono stati scritti sul Papa
polacco, questo è una cosa a sé stante. Autrice,
Wanda Poltawska, medico psichiatra polacca, che fu
amica e collaboratrice di Wojtyla fin dal 1950,
quando il futuro Papa era un semplice sacerdote,
assistente spirituale dei giovani universitari,
amicizia che è continuata fino alla morte del grande
Pontefice.
E’ un libro fuori dai normali schemi, che contiene
molti scritti inediti di Wojtyla, riflessioni,
appunti, suggerimenti per la vita spirituale e
soprattutto parecchie lettere.
Non è una biografia. Non ha niente a che fare con la
storia pubblica e cronologica di Wojtyla. Non è
neppure stato scritto per essere pubblicato. Si
tratta di una raccolta di appunti, di impressioni,
che la dottoressa Poltawska ha fissato in vari
quaderni nel corso degli anni, una specie di diario,
dal quale ha tratto questo libro, utilizzando, in
pratica, una piccola parte dell’enorme materiale che
possiede. E fu lo stesso Giovanni Paolo II , che
aveva letto i quaderni di appunti, a suggerire che
se ne facesse una pubblicazione, ritenendo che
sarebbe stata utile.
Nel giugno dello scorso anno, quando il libro venne
pubblicato in Polonia, fece parlare i giornali di
mezzo mondo, suscitando critiche e scandalo. Molti
giudicarono sconveniente che Karol Wojtyla avesse
coltivato una amicizia così profonda con una donna
al punto da continuare a scriverle lettere anche da
Papa. Altri condannarono la dottoressa Poltawska,
accusandola di protagonismo e smania di pubblicità,
per aver rese pubbliche quelle lettere che, secondo
loro, dovevano rimanere segrete e affermando che la
pubblicazione poteva addirittura nuocere alla causa
di beatificazione. Per fortuna, questo non è
accaduto. La Chiesa, nei suoi rappresentanti
qualificati allo scopo, era al corrente del
contenuto del libro, lo aveva già esaminato, e
nessun riverbero negativo si è avuto sul processo
che, per la parte dell’esame della vita e degli
scritti di Wojtyla, è stato concluso con il decreto
di riconoscimento delle virtù eroiche firmato dal
Benedetto XVI a metà dicembre scorso. E si prevede
che la solenne beatificazione possa avvenire ad
ottobre o al più tardi nell’aprile del 2011.
Leggendo questo libro con calma e
attenzione, si rimane profondamente colpiti dal
contenuto altamente spirituale. Scritto con uno
stile asciutto, conciso, e pochi accenni personali
da parte dell’autrice, ha un fascino irresistibile.
Fa scoprire innumerevoli dettagli dell’animo di
Karol Wojtyla e di quello della dottoressa Poltawska.
Le lettere di Wojtyla, non essendo ufficiali, ma
destinate a una singola persona, palesano la sua
straordinaria sensibilità, la grandissima umanità e
soprattutto l’eccezionale santità. Svelano come egli
fosse in continuo contatto con Dio. Non in forma
pietistica, formalistica, ma concreta e permanente.
Viveva come se camminasse davanti allo sguardo di
Dio. Mai, in nessun momento della sua giornata,
perdeva questa consapevolezza e la trasmetteva a chi
gli era vicino.
Per la quasi totalità, il libro è
costituito da “esercizi scritti” per un cammino
ascetico che la dottoressa Poltawska ha fatto sotto
la guida del suo direttore spirituale che era
appunto Karol Wojtyla. Lui le indicava i temi delle
meditazioni quotidiane e lei metteva per scritto i
pensieri e le riflessioni che faceva, inviandoli poi
al direttore spirituale che valutava, suggeriva,
guidava verso nuovi traguardi interiori. E inviava
lui stesso i propri appunti sugli stessi temi, quasi
a confrontarsi. Una lunga ascesi, precisa,
quotidiana, costante, che la dottoressa Poltawska ha
compiuto insieme al proprio marito, Andrzej, e alle
proprie figlie, e, si può dire, anche insieme allo
stesso Wojtyla che ha voluto farsi, con loro e per
loro, “fratello”, e “ viandante” nel cammino verso
Dio.
Un’esperienza eccezionale, diventata nel tempo
amicizia profonda. Scrivendo le sue lettere, Wojtyla
chiamava la dottoressa con il diminutivo di “Dusia”
(sorellina) e si firmava con la sigla “Fr”,
(fratello). Esperienza certamente originale e
d’avanguardia, ma viva, concreta e sublime, che
richiama la vita dei primitivi cristiani, di santi
come Francesco e Chiara, e in particolare l’amicizia
di San Francesco di Sales e Santa Giovanna di
Chantal. Solo un uomo come Wojtyla, santo e poeta,
drammaturgo e mistico, grande e umile, poteva
realizzare un’esperienza del genere, che diventa
ora, attraverso il libro, un vero “patrimonio
spirituale” per chi ha il coraggio di leggere e di
lasciarsi conquistare.
Per capire bene questa
meravigliosa avventura umana e spirituale, bisogna
conoscere la storia che l’ha originata. In
particolare quella dell’autrice, donna molto nota in
Polonia per la mole di iniziative cui ha dato vita
nella sua ormai lunga esistenza, ma anche, in un
certo senso, “sconosciuta” perché riservata, chiusa,
gelosa della propria esistenza privata. Consapevole,
però, del ruolo che le è stato riservato dalla
Provvidenza, giunta a un’età che si avvicina ai
novant’anni ha ceduto alle pressioni degli amici e
al desiderio che aveva già espresso Wojtyla,
mettendo a disposizione in questo libro le
esperienze fatte accanto a un grande uomo e un
grandissimo santo.
Wanda Poltawska conobbe Karol Wojtyla nel 1950, a
Cracovia. Lei aveva 29 anni, lui 30. Wojtyla,
sacerdote da quattro anni, era assistente dei
giovani studenti universitari, e Wanda, già laureata
in medicina, frequentava i corsi di psicologia e
psichiatria.
Aveva alle spalle una terribile
esperienza. Nata a Liblino, in una famiglia molto
cattolica, aveva avuto una infanzia e una prima
giovinezza serene, impegnata nel movimento degli
Scout. Nel 1939, quando i nazisti invasero la
Polonia, Wanda, che aveva 18 anni, come altri suoi
coetanei era entrata nella Resistenza partigiana,
per difendere la patria. Ma venne scoperta e
arrestata e inviata nel famigerato campo di
concentramento nazista di Ravensbriick, dove visse
uno spaventoso calvario durato oltre quattro anni.
Anni di autentico martirio. Non solo per le
umiliazioni, la fame, i lavori pesanti, il freddo,
le violenze fisiche e morali, pane quotidiano in
quei luoghi di sterminio, ma perché, ad un certo
momento, lei e alcune altre compagne furono scelte
come cavie per misteriosi esperimenti medici.
Trasferite in una specie di infermeria, erano
sottoposte a interventi chirurgici, ad orribili
mutilazioni, asportazioni di pezzi di ossa,
iniezioni di batteri nelle ferite per provocare
infezioni e cancrene, che erano poi trattate con
altri prodotti chimici. Un calvario spaventoso e
interminabile. Quasi tutte le ragazze morirono una
dopo l’altra e Wanda sopravvisse per miracolo.
Tornata a casa, era una larva umana. Riprese a
studiare, si laureò in medicina, ma dentro di lei il
tarlo degli incubi continuava a roderla e a
tormentarla. Si sentiva una donna finita, che
lottava disperatamente con i fantasmi del passato,
senza riuscire a sconfiggerli. Aveva paura di sé
stessa, degli altri, della vita. I principi
cristiani che aveva ricevuto da bambina cozzavano
spaventosamente con la crudeltà che aveva subito nel
Lager.
Cercava aiuto. Lo cercava soprattutto dai sacerdoti,
ma non trovava nessuno disponibile ad ascoltarla e a
capire i suoi problemi. Nel 1950 incontrò Karol
Wojtyla, e rimase colpita dal fatto che era una
persona che “ascoltava”. Divenne il suo confessore e
direttore spirituale.
Fu lui a “guarire” la sua anima, ad aiutarla a
ritrovare sé stessa e la fiducia nei propri simili.
E, mano a mano che la conosceva bene, Wojtyla capì
che quell’incontro non era casuale. Abituato a
vedere le cose da un punto di vista mistico, si
convinse che le terribili sofferenze che quella
giovane donna aveva subito e sopportato non erano
cosa che riguardasse solo lei stessa. Per il mistero
del “Corpo mistico di Cristo”, riguardavano tutti,
in particolare forse proprio lui, che dalla guerra
era stato risparmiato. Negli anni in cui Wanda
“moriva” nel Lager, egli aveva scoperto la propria
vocazione al sacerdozio. E poi, era toccato a lui,
sacerdote, il compito di “curare” le ferite che il
Lager aveva lasciato nell’anima di quella persona.
Non erano coincidenze casuali, c’era un nesso, un
legame, e questa sua convinzione divenne, a poco a
poco, consapevolezza. Lo rivelò lui stesso alla
dottoressa Wanda in uno dei momenti più importanti
della sua esistenza, il 20 ottobre 1978, quattro
giorni dopo essere stato eletto Pontefice della
Chiesa. In una lunga e bellissima lettera, la prima
che le scrisse da Papa, volle affrontare apertamente
il tema della loro amicizia. Amicizia che ora, dopo
che lui era diventato Papa, poteva anche essere
giudicata male da estranei. Ma era un’amicizia
“radicata e fissata in Dio, nella sua grazia”, come
egli scrisse, e quindi doveva continuare.
Ecco la parte di quella lettera
che parla esplicitamente di questo argomento.
<<Il Signore Gesù ha voluto che quello che a volte
veniva detto, quello che tu stessa avevi detto il
giorno dopo la morte di Paolo VI, diventasse realtà.
Ringrazio Dio per avermi dato, questa volta, così
tanta pace interiore – quella pace che mi mancava in
modo evidente ancora in agosto – che ho potuto
vivere tutto ciò senza tensione. Con la fiducia che
Lui e sua Madre dirigeranno tutto, anche in queste
relazioni, preoccupazioni e responsabilità più
personali. Con la convinzione che – se non seguirò
la chiamata – anche in questi rapporti posso
rovinare tutto
<<Capisci che, in tutto questo, penso a te. Da oltre
vent'anni, da quando Andrzej mi disse per la prima
volta: “Duska è stata a Ravensbriick”, è nata nella
mia consapevolezza la convinzione che Dio mi dava e
mi assegnava te, affinché in un certo senso io
“compensassi” quello che avevi sofferto lì. E ho
pen¬sato: lei ha sofferto al mio posto. A me Dio ha
risparmiato quella prova, perché lei è stata lì. Si
può dire che questa convinzione fosse “irrazionale”,
tuttavia essa è sempre stata in me - e continua a
rimanerci. Su questa convinzione si è sviluppata
gradualmente tutta la consapevolezza della
“sorella”. E anche questa appartiene alla dimensione
di tutta la vita. Anch'essa continua a rimanere. Mia
cara Dusia! Tutta quella dimensione rimane in me e
deve rimanere in te. È sempre stata radicata e
“fissata” in Dio, nella sua grazia - ora deve
esserci fissata ancora di più>>.
Sono parole che spiegano in modo chiaro la natura e
la qualità dell’amicizia che ha legato Karol Wojtyla
a Wanda Poltawska. Un’amicizia così straordinaria e
sublime che può nascere e crescere solo nel cuore e
nell’anima dei grandi santi.