Benché famosissima,
ha sempre tenuto la
massima riservatezza
sulla propria vita
privata. Non ha mai
frequentato feste,
ricevimenti, non ha
mai voluto avere un
press-agent o un
manager. Quando non
era impegnata in
teatro, se ne stava
a casa, con il
marito, dottor Aldo
Busch, un
industriale.
<<Sembra strano>>,
dice <<ma in casa
non sono mai venuti
colleghi o direttori
d’orchestra. Quando
uscivo dal teatro,
diventavo una
persona qualunque
che non aveva più
alcun legame con lo
spettacolo. Ero una
casalinga, come
tante. E questo modo
di vivere mi ha
permesso di
coltivare la mia
famiglia, che è
stato il bene
massimo che ho
avuto>>.
<<Come è nata la
sua passione per la
musica lirica?>>.
<<Credo mi sia stata
infusa da mio padre.
Era un magistrato,
ma aveva anche una
grande passione per
il melodramma e da
giovane era stato un
tenore dilettante.
<<Sono nata a
Saluzzo, a una
cinquantina di
chilometri da
Torino, dove mio
padre faceva il
magistrato. Ma la
famiglia è torinese
e io stessa sono
cresciuta a
Torino>>.
<<Quando cominciò
a studiare
musica?>>.
<<Da bambina. La
musica doveva far
parte della mia
educazione ma solo
come elemento
culturale. Tutte le
giovinette di buona
famiglia allora
studiavano musica. A
sei anni cominciai
lo studio del
pianoforte, con il
maestro Giorgio
Federico Ghedini, il
quale poi mi diede
lezioni anche di
armonia e di
contrappunto. Era
mia intenzione
diplomarmi in
pianoforte. Ma avevo
una voce potente e
una grande facilità
a imparare romanze e
canzoni. Spesso mi
nascondevo dietro un
paravento e cantavo.
Chi non mi
conosceva, pensava
che quella voce
appartenesse a una
signorina di almeno
18 anni ed io invece
ne avevo cinque o
sei. Tutti gli amici
di mio padre
dicevano: “Sarebbe
un peccato non farle
studiare canto". E
così all’età di
tredici anni,
cominciai al
Conservatorio anche
lo studio del
canto>>.
<<Con successi
immediati,
immagino>>.
<<Al contrario. Gli
inizi furono
disastrosi.
Continuavo a
cambiare insegnante.
In pochi mesi ne
cambiai tre, ma i
risultati erano
sempre gli stessi:
avevo una voce
potentissima,
selvaggia e nessuno
riusciva a
insegnarmi a
dominarla, ad
usarla.
<<Una delle
insegnanti mi disse
che non sarei mai
potuta diventare
cantante perché
avevo dei difetti
fisici, una
malformazione che mi
impediva le lunghe
emissioni di voce.
Soffrivo nel
sentirmi dire queste
cose. Non pensavo
alla carriera. Ma
ormai volevo
studiare canto per
ripicca, per far
vedere che non avevo
alcun difetto, che
ero capace di usare
la voce che Dio mi
aveva dato.
<<Anche mio padre
soffriva nel vedermi
demoralizzata e
preoccupata. Un
giorno un amico di
mio padre gli disse:
“Se Magda vuol
proprio cantare
perché non le
procuri un'audizione
alla radio? Io ho
dei cari amici che
la possono
presentare”. Mio
padre accettò.
Quella audizione
doveva essere la
prova definitiva: se
avessero espresso un
giudizio negativo,
avrei smesso di
studiare canto.
<<Le raccomandazioni
allora erano rare ma
valevano molto.
L’amico di mio
padre, una persona
importantissima
scrisse un biglietto
col quale andai
all’audizione. La
commissione
esaminatrice era
composta dai maestri
Ugo Tansini, Attilio
Parelli e altri due
di cui ora non
ricordo i nomi.
Cantai la romanza
della Bohème di
Puccini “Mi chiamano
Mimi” Al termine il
maestro Tansini
disse: “Non c'è
voce, non c'è
musicalità, non c'è
personalità, non c'è
niente: le consiglio
di cambiare
mestiere”. Restai
allibita. Uno degli
esaminatori, che
teneva in mano il
biglietto di
presentazione e
continuava a
leggerlo, lo fece
vedere al maestro
Tansíni dicendo: “La
signorina è molto
giovane. Non ha mai
cantato in pubblico.
Forse è stata
tradita
dall'emozione. Io
proporrei una
seconda audizione,
tra qualche giorno”.
Tansini, leggendo
quel biglietto di
raccomandazione e
vedendo da chi era
firmato, capì e mi
concesse una prova
d’appello.
<<Tornai dopo una
settimana. La
commissione era
sempre la stessa, ma
questa volta c’era
anche il maestro
Luigi Gerussi.
Ripetei la stessa
romanza ma il
giudizio di Tansini
fu di nuovo
negativo. “Zero”.
disse: “per me non
c'è niente da fare”.
“Io non condivido il
tuo pensiero”,
intervenne il
maestro Gerussi.
“Questa ragazza ha
un'ottima voce, ma
nessuno le ha
insegnato ad
adoperarla, a
respirare, a
sostenere i polmoni
usando I muscoli
dell’addome. Può
diventare molto
brava”. “Senti,
Luigino”, rispose
Tansini “se tu hai
tempo da perdere,
insegnale qualche
cosa ; io non ci
voglio mettere le
mani”.
<<Terminò così la
mia audizione
radiofonica. Ero
stata bocciata, ma
avevo trovato un
maestro eccezionale.
Cominciai subito la
scuola la con
Gerussi. . E’ stata
la più grande
tragedia della mia
vita. Le precedenti
insegnanti mi
avevano quasi
rovinata. Gerussi è
stato feroce con me.
Di una durezza
inaudita. Un giorno,
disperata, mentre
facevo un vocalizzo
e non riuscivo come
voleva lui, dissi:
“Maestro, non ce la
faccio”. E lui mi
guardò torvo e
rispose: “Ricordati,
anche se dopo tu
muori lì, a me non
importa niente, ma
prima di morire tu
devi fare quello che
ti dico io”.
<<Tornavo a casa
come se fossi stata
bastonata. Mi
facevano male i
muscoli della
schiena, del torace,
dello stomaco,
perfino le mani mi
facevano male. Ma
piano, piano
cominciai a capire,
e imparai che cosa
significasse
cantare. In un anno,
il maestro Gerussi
mi trasformò.
Debittai a Tonino
nel 1932 con grande
successo. L’anno
successivo ero già
alla Scala di
Milano. Iniziai una
carriera strepitosa,
che mi diede
grandissime
soddisfazioni>>..
<<Lei, signora
Olivero, diventò
famosa in poco
tempo. Era
applaudita ovunque
ed era considerata
la più bella
primadonna della
lirica Italiana.
Come si trovò in
quel ruolo?>>.
<<Non sono mai stata
una diva, se è
questo che vuol
sapere. Anzi, ho
sempre disprezzato
il divismo. La
musica è una cosa
seria. Un artista è
come un buon
soldato: deve essere
sempre pronto a
sacrificarsi per
servire l'arte e il
teatro.
<<Più che la mia
carriera e il mio
succes¬so personale,
io ho amato la
musica, le opere e
gli autori. Quan¬do
mi applaudivano,
pensavo sempre
all'autore
dell'opera e dentro
di me dicevo:
"Questi applausi
sono per te, Verdi,
per te, Bellini, per
te, Cilea, per te,
Mascagni, per te,
Puccini". In quei
momenti sentivo
vicino a me lo
spirito del maestro
e provavo una grande
fe¬licità. Credo che
questo stato d'animo
di serena e devota
dedi¬zione all'arte,
sia stato il segreto
della mia lunga
carriera>>.
<<Dopo appena
nove anni di
successi strepitosi,
lei,
improvvisamente,
scomparve. Che cosa
era accaduto?>>.
<<Fu nel 1941. Ero
innamorata e mi
sposai. Fin
dall’inizio della
carriera avevo detto
a me stessa che se
un giorno mi fossi
sposata avrei
abbandonato il
canto. La
professione di
moglie, e
soprattutto di
madre, è così
importante che non
credo si possa
dividerla con altre
attività. Inoltre,
c'era la guerra e
non volevo restare
lontana da mio
marito. Con le
nozze, perciò, diedi
un taglio netto alla
vita passata e mi
misi a fare la
casalinga a tempo
pieno, come se non
avessi mai messo
piede su un
palcoscenico.
<<Era mia intenzione
non tornare più a
cantare. Per nove
anni rimasi ferma in
questo proposito,
sebbene fossi
continuamente
tormentata da
direttori
d'orchestra e
sovrintendenti di
teatri che mi
scongiuravano di
riprendere
l’attività>>.
<<E perchè poi è
ritornata?>>.
<<Lo feci per il
maestro Francesco
Cilea. Durante gli
anni di attività,
prima del
matrimonio, avevo
interpretato
parecchie volte il
suo capolavoro,
Adriana Lecouvreur.
Il maestro mi aveva
detto che ero
riuscita a entrare
nello spirito della
sua Adriana come
nessun'altra
interprete, che ero
andata oltre le note
che lui aveva
scritto. Quando mi
ritirai, Cilea ne fu
molto amareggiato e
continuò a
scrivermi,
inutilmente, perchè
tornassi a
interpretare la sua
Adriana.
<<Poi, nel maggio
del 1950, venne a
trovarmi Il maestro
Serafin con Il
barone Mazzonis e Il
commendator Ostali.
Mi dissero che Cilea
era molto ammalato e
che ripeteva: “Prima
di morire vorrei
riascoltare la mia
Adriana interpretata
dalla Olivero”. Il
maestro Serafìn
aggiunse: “Non puoi
lasciar morire quel
povero vecchio
negandogli questa
soddisfazione”.
Rimasi molto colpita
e risposi che ci
avrei pensato.
Riflettei a lungo,
da maggio ad
ottobre. Erano nove
anni che ero sposata
e non avevo avuto
figli. Ormai sapevo
con certezza che non
sarei mai diventata
mamma. La ragione
principale per cui
avevo abbandonata la
carriera artistica,
veniva perciò a
mancare. Decisi di
ritornare. Il 19
ottobre 1950 firmai
il contratto per
interpretare Adriana
Lecouvreur. Il
maestro Cilea ne fu
informato
telegraficamente, e
in dicembre dovevo
andare a trovarlo
insieme con il
commendator Ostali.
La data della visita
fu spostata per
impegni del
commendatore, e il
22 dicembre Cilea
morì>>.
<<Interpretò poi
l'opera di Cilea?>>.
<<Certamente.
Adriana Lecouvreur
fu l'opera che segnò
il mio ritorno e
insieme fu la
commemorazione
ufficiale per la
scomparsa del grande
maestro. Da allora
continuai a
interpretarla in
tutto il mondo. Non
so quante recite ho
fatto di quest'opera,
ma credo siano
centinaia. La mia
vita artistica è
legata a quest'opera,
e anche certe date
della mia vita
privata coincidono
con le recite di
Adriana Lecouvreur>>.
<<Ha trovato
difficoltà a
riprendere la
carriera dopo nove
anni di
inattività?>>.
<<La voce era quella
di sempre,
l'entusiasmo anche.
Il pubblico non mi
aveva dimenticata.
Anzi, il lungo
silenzio, il mistero
che si era creato
intorno alla mia
scomparsa avevano
contribuito a
mantenere vivo
l'interesse sul mio
nome e sulla mia
persona. I tempi,
però, erano
cambiati. Nel 1952
erano in pieno boom
grandi interpreti
come Maria Callas,
Renata Tebaldi,
Ro¬sanna Carteri ed
altre, tutte mol¬to
brave. Non tutte
vedevano di buon
occhio il mio
ritorno. Ci fu una
guerra nei miei
confron¬ti.
Cercarono di
stringermi in un
cerchio per
eliminarmi. Io avevo
il pubblico dalla
mia parte e lasciai
fare. Infatti, non
ci riuscirono.
Continuai a cantare
anche dopo che loro
erano da tempo
finite>>.
<<Qual è stata la
caratteristica
specifica delle sue
interpretazioni?>>.
<<Sono sempre stata
definita cantante e
attrice. Credo che
la mia
caratteristica sia
stata quella di
unire a una buona
preparazione
musicale e vocale
una buona
recitazione e un
buon comportamento
scenico. Sono andata
a scuola di
recitazione dalla
professoressa Dora
Setti, all'Accademia
d'arte drammatica di
Milano, che mi ha
sempre considerata
(scusi l'immodestia)
una delle sue
allieve migliori.
Recitare é sempre
stata la mia
passione segreta. Se
avessi potuto
pensarci prima,
avrei fatto
l'attrice. Ho sempre
frequentato il mondo
della prosa ed ho
avuto più amici tra
gli attori che non
tra i cantanti>>.
<<Quante opere
aveva in
repertorio?>>.
<<82, e tutte
portate sul
palcoscenico.
Preferivo le opere
moderne, dove
occorre anche saper
recitare. Nel mio
curriculum artistico
ci sono nomi di
autori che pochi
conoscono e dei
quali io, spesso,
sono stata l’unica
interprete della
loro opere. Posso
fare dei nomi:
Armando La Rosa
Parodi, di cui ho
interpretato “Il
mercante e
l’avvocato” alla Rai
di Torino ancora
all’inizio di
carriera, nel 1934.
Felice Lattuada, di
cui ho portato sulle
scene, a Genova, La
sua “Caverna di
Salamanca”. Sandro
Fuga: sono stata
Maria, nella sua
“Confessione” al
Teatro Nuovo di
Torino.
<<Un autore che mi
piaceva era Gerardo
Rusconi, il fratello
del celebre Editore
Edilio Rusconi. Nel
1972 ho interpretato
la sua “Lode alla
Trinità”, prima alla
Rai di Torino, con
la direzione di
Piero Bellugi e poi
all’Accademia di
Santa Cecilia,
diretta da Alberto
Biondi. Nell'opera
di Rusconi c'era da
cantare, ma c'era
anche da recitare,
seguendo i testi
originali di Santa
Caterina, scritti in
quel bell'italiano
del Trecento. Si
passava dal canto
alla recitazione,
improvvisamente, e
io trovavo quell’opera
affascinante, anche
se difficile.
All'inizio mi ero
spaventata, ma poi
fui conquistata
dalla musica e mi
buttai con
entusiasmo nel
lavoro. In seguito
ho riascoltato
diverse volte la
registrazione e devo
dire che è stata una
delle più belle
recite della mia
vita.
<<L’ultima opera
moderna la
interpretai nel
1977, al San Carlo
di Napoli. Era “La
visita della vecchia
signora” di
Gottfried von Einem.
Di quel compositore
si diceva
scherzando: “Ha
scritto la musica
perchè i cantanti
non riescano a
impararla”. E per la
verità fu una fatica
improba. Ma alla
fine ho fatto tutto
bene, cantando tutte
le note che lui
aveva scritto. Di
fronte a certe
difficoltà, il
maestro Gracis
diceva: “Tagliamo
questo pezzo, non è
umano”. “No, l’ho
studiato e lo voglio
cantare”,
rispondevo>>.
<<Quali sono I
ricordi più belli
della sua
carriera?>>.
<<Non si possono mai
dimenticare certi
applausi
interminabili alla
fine di una recita,
ma le cose più belle
che la musica mi ha
dato sono gli
incontri con gli
ammalati. Ho sempre
ricevuto molte
lettere di ammalati
che mi hanno
conosciuta
ascoltandomi alla
radio. Mi dicevano
che nella mia voce
sentivano una grande
sensibilità, qualche
cosa che li attirava
verso di me,
convinti che li
avrei capiti. Mi
confidavano le loro
sofferenze. Erano
soprattutto ammalati
cronici, quelli che
non possono guardare
con speranza
all'avvenire. Ho
sempre risposto a
tutti. Con alcuni ho
tenuto
corrispondenza per
anni. Gli ammalati
mi hanno dato molto,
mi hanno fatto
veramente capire
molte cose della
vita.
<<Ricordo un ragazzo
di Firenze. Aveva
due occhi stupendi,
un volto
meraviglioso. Per 14
anni restò
inchiodato in un
busto di ferro, con
il corpo deformato.
Camminava a stento,
soffriva
terribilmente nel
fisico ma
soprattutto
nell'animo. Quando
lo conobbi era
disperato, ma la mia
musica gli era di
conforto. Gli
scrivevo spesso, gli
mandavo dischi,
libri. Lui mi
chiamava “sorellina
azzurra". Quando
andavo a trovarlo e
vedevo quanta
sofferenza e quanta
tristezza c’erano in
quegli occhi
stupendi, mi
vergognavo di star
bene, di avere un
fisico normale. Se
cantavo a Firenze,
lui veniva ad
ascoltarmi. Prendeva
posto in un palco.
Sapevo che gli
piaceva moltissimo
un'aria
dell'Adriana, e
prima di iniziare
quella romanza
guardavo verso di
lui, facevo un gesto
che lui conosceva:
significava che gli
dedicavo quella
romanza. So che lui
piangeva
ascoltandomi, e
piangevo anch'io
cantando. La musica
mi ha permesso di
far del bene a tante
persone sofferenti,
e questi sono e
saranno i ricordi
più belli della mia
carriera>>.
So che
festeggiava la
ricorrenza religiosa
dell’Assunzione di
Maria al cielo, il
15 agosto, cantando
alla Messa in una
chiesa in montagna.
Perché?>>
<<Sono sempre stata
molto devota della
Madonna e quell’appuntamento
era un modo per
renderle omaggio e
per pregare. Pregare
a modo mio, cioè
cantando, usando
quella voce che Dio
mi aveva dato.
Quegli incontri di
preghiera con il
canto li ho tenuti a
Solda, paesino di
alta montagna, nella
chiesa parrocchiale
dedicata a Santa
Gertrude. Cominciai
nel 1966, e fui
fedele sempre. A
volte anche a
Natale. Avevo
ammiratori che
venivano anche
dall’estero per
sentirmi cantare in
quella Messa>>.
Quando ha smesso
quei concerti?
<<L’ultimo l’ho
tenuto due anni fa.
Nel 2008. Avevo 98
anni>>.
<<Ha mai
conosciuto Toscanini?>>.
<<Lo incontrai una
sola volta, nel
1954. Ero a Sirmione
in vacanza, a Villa
Cortine. Mentre
passeggiavo per il
parco vidi una
bellissima signora
che mi veniva
incontro sorridendo:
era Wally Toscanini.
“Venga da mio
padre”, mi disse,
“vuole conoscerla”..
Rimasi confusa. Per
Toscanini avevo una
grande venerazione,
e l'idea di
incontrarlo così
all'improvviso mi
riempì di sgomento.
Seguii la signora
Wally e trovai
Toscanini in
compagnia di
Ghiringhelli e del
dottor Oldani. Mi
salutò con grande
cordialità. “Venga
con noi”, mi disse.
Mi affiancai a lui e
continuammo a
passeggiare per tre
ore. Quello che
ascoltai in quelle
tre ore, non potrei
mai riferirlo. I
giudizi di Toscanini
su cantanti e
musicisti allora
famosisissimi erano
terribili: giudicava
e stroncava senza
pietà. Ne fui come
atterrita, ma in
seguito dovetti
rendermi conto che
certi suoi giudizi
negativi su
personaggi allora
acclamati da tutti
si rivelarono
esatti. Dopo tre ore
andammo in albergo.
Toscanini mi disse:
“Resti ancora”.
Nella hall continuò
a parlarmi, senza
testimoni. Io
ascoltavo senza dire
niente. Prima di
salutarlo gli dissi:
“Maestro, la
ringrazio di questo
grande dono, di
avermi voluto vicino
per un intero
pomeriggio. Non lo
dimenticherò mai”.
Lui si alzò e mi
guardò. Il suo volto
cambiò espressione.
Quei suoi occhi
sempre irritati
diventarono
dolcissimi. Forse si
rese conto che in
tutto il tempo non
avevo mai detto una
parola, non avevo
chiesto niente, non
avevo parlato della
mia attività
artistica. Aprì le
labbra per dirmi
qualche cosa, ma poi
si riprese, mi fece
una carezza sulla
guancia e se ne
andò. Fu un incontro
strano, ma lo
ricordo come uno dei
più importanti della
mia vita>>.
<<E la Callas?>>.
<<Mai conosciuta,
mai incontrata.
Anche se tra noi ci
fu un certo legame,
sia pure a distanza.
Nel 1952 e 1953 io
feci molte recite di
Traviata e la Callas
venne ad ascoltarmi
parecchie volte. Nel
1954 venni
scritturata
dall’Arena di Verona
per Mefistofele e
Turandot. Quando
stavamo per iniziare
le prove i dirigenti
del teatro mi
chiamarono e mi
dissero che era
sorto un ostacolo.
“Dal momento che la
Callas abita a
Verona”, mi dissero
“siamo, in un certo
senso, obbligati a
farle scegliere
l’opera che desidera
e lei ha scelto
Mefistofele. Le
abbiamo detto che
c’è già un contratto
con lei, ma ha
risposto che non
gliene importa
niente, vuole fare
Mefistofele”. Erano
contrariati. Io
riposo: “Non
preoccupatevi. Sono
pronta a restituirvi
il contratto”. “No”
dissero “faremo due
compagnie, una con
lei e una con la
Callas”. E così fu
fatto. La Callas
però disse che la
prima voleva farla
lei. “Va benissimo”,
dissi io. Ma poi un
temporale fece
interrompere l’opera
dopo il primo atto.
Così la prima vera
fu la mia ed ebbi un
successo strepitoso.
La Callas se la
prese a morte. Ma, a
me non disse mai
niente. In fondo so
che mi stimava. Di
Stefano mi disse che
nel 1972, quando lui
voleva che
riprendesse a
cantare, lei disse:
“Ci sarebbe una sola
persona al mondo che
potrebbe aiutarmi a
riacquistare la
voce: Magda Olivero.
Ma credo che ormai
sia troppo tardi”.
Era una grandissima
professionista. Io
ho avuto per lei una
profonda
ammirazione,
sempre>>.
Renzo Allegri