Di Renzo Allegri
Foto di Nicola Allegri |
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tutte Le foto in basso sono
ingrandibili |
Giuseppe Taddei,
grande baritono, avrebbe compiuto 94
anni il 26 giugno e amici da tutto
il mondo si preparavano a
festeggiarlo. Invece se ne andato
per sempre all’inizio del mese, il 2
giugno, 24 giorni prima del suo
compleanno. A maggio, anche
Giulietta Simionato ha lasciato
questa terra alla vigilia di una
grande festa quella dei suoi cent’anni.
Il 15 giugno è mancato Giacinto
Prandelli e di anni ne aveva 96.
Tre artisti, voci leggendarie,
protagonisti del periodo d’oro della
lirica, anni Cinquanta e successivi
del secolo scorso. Artisti che hanno
altamente onorato il melodramma nei
nostri teatri e in quelli di tutto
il mondo, ambasciatori di un
prezioso prestigio culturale del
nostro Paese. I giornali italiani
hanno dato la notizia della
scomparsa di questi artisti con
titoli appropriati ma con resoconti
biografici sintetici, troppo brevi
per far capire chi erano veramente e
quanto hanno dato alla musica. Del
resto, questa è la regola. Oggi, la
musica, per le masse, è purtroppo
solo quella delle canzoni. Le opere,
le sinfonie, sono diventati merce
del passato, riservata a un pubblico
d’elite. E’ facile, quindi, trovare
sui giornali pagine intere dedicate
al divo di turno delle canzonette,
con accanto un trafiletto per
ricordare la carriera di un grande
interprete della musica sinfonica e
lirica.
Per fortuna, ci sono gli spazi del
Web, i siti, i blog, dove non
valgono queste regole. Dove è
possibile celebrare in forma ampia
anche gli artisti della grande
musica.
Mi dedico con passione a ricordare i
grandi cantanti del passato. Nella
mia lunga carriera di giornalista li
ho conosciuti, di molti sono stato
amico ed ho conservato l’abitudine
di andare a trovarli anche quando
non cantano più. In questo modo ho
raccolto un materiale enorme di
racconti, conversazioni, ricordi,
fotografie. E mi sembra giusto
dividere questo materiale con chi
ama la lirica. A marzo, ho dato
ampio spazio ai ricordi di Magda
Olivero, che ha felicemente
festeggiato un secolo di vita; a
maggio ho ricordato Giulietta
Simionato, che ha mancato i suoi
cent’anni per sei giorni, ora voglio
ricordare Giuseppe Taddei.
Giuseppe Taddei
con alcuni volumi costituiti da articoli
riguardanti la sua professione, apparsi sui
giornali di tutto il mondo. Taddei aveva un
repertorio lirico di 150 opere, che
spaziavano dal Settecento ai contemporanei. |
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L’ultimo pomeriggio
che ho passato con
lui, nella sua casa
di Roma, nella zona
di Monte Mario,
risale al marzo del
2002. Taddei aveva
85 anni, era in
splendida forma,
come dimostrano le
immagini scattate in
quell’occasione. Ed
era ancora in
attività. Teneva
concerti in Italia e
all’estero. Un
fenomeno. Parlammo a
lungo. Taddei
raccontava con
passione. Ricordi
della sua vita,
della sua carriera.
Era instancabile.
Dimostrava una
energia fisica
incredibile e un
entusiasmo da
ragazzo..
<<Sono stupito io
stesso>>, diceva. <<Non ho mai
nascosto la mia età: il 26 giugno
prossimo compirò 86 anni. Eppure, me
ne sento meno della metà. La mia
voce è ancora ferma, non balla
affatto e inoltre ne ho ancora tanta
di voce, più di quando era
giovane>>.
Per dimostrarmi che
le sue non erano affermazioni al
vento, si alzò dal divano del salone
della sua bella casa romana, allargò
il torace e attaccò
la celebre aria di Iago nel secondo atto dell’Otello
“Credo
in un Dio crudel”. Un attacco potente,
deciso con una grinta impressionante, ma
insieme un canto nobile, non gridato, musicale, velato, triste, e un c olore di
voce di rara |
bellezza. <<Alla
Scala, per l’inaugurazione della stagione
Leo Nucci, che ha sessant’anni, è stato un magnifico
Jago>>, disse ancora. <<Ma se avessero
chiamato me, che di anni ne ho 26 più di
lui, forse non avrei fatto brutta figura>>.
Rise
divertito. Un sorriso solare, franco,
simpatico. Ma subito volle precisare che
l’accenno a Nucci non voleva essere
assolutamente una critica. <<Ho una grande
stima e ammirazione per Nucci, che è
bravissimo>>, disse. <<Ma volevo
sottolineare che, pur avendo tanti anni in
più di Leo, non mi sento, vocalmente,
finito, tagliato fuori neppure per
manifestazioni tanto importanti quali
l’inaugurazione della stagione lirica di un
teatro come la Scala, che è il più
prestigioso del mondo>>.
Grandissimo artista ma anche un uomo
straordinario. Non si trova un solo collega
di Giuseppe Taddei che abbia avuto il più
piccolo risentimento verso di lui. Mai fatto
critiche a nessuno, mai espresso giudizi
poco simpatici verso altri artisti. Un caso
quasi unico nel mondo della lirica, dove le
invidie, i rancori, le rivalse in genere
predominano sui buoni rapporti. Parlando con
i colleghi di Giuseppe Taddei o leggendo le
interviste e le biografie di coloro che
hanno cantato nel periodo in cui lui era il
“Re” dei baritoni, si trovano solo elogi al
suo carattere, alla sua generosità, alla sua
cordialità. Mirto Picchi, che fu un ottimo
tenore fiorentino, morto purtroppo nel 1980,
a soli 65 anni, in una sua biografia ricorda
gli aiuti ricevuti da Taddei a Vienna negli
anni dell’immediato dopoguerra. In quella
città Picchi interpretò diverse opere, ma
non si trovava bene per via del clima troppo
freddo per lui e per la cucina, tanto
diversa da quella della sua terra toscana,
ma trovò un generoso e disinteressato aiuto
in Taddei. <<Amo ricordarlo non solo per
l’ammirazione grande che ebbi fino da allora
per lui, ma anche per il fraterno, prezioso
aiuto e incoraggiamento che volle darmi>>,
scrisse Picchi. << Più volte mi ospitò a
colazione e a cena nel suo appartamento
molto più caldo, nel quale
aveva fatto giungere
dall’Italia tutti i suoi, madre compresa,
donna amabilissima>>. |
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Giuseppe Taddei
con una serie di CD contenenti l’incisione
di alcune delle opere liriche da lui
interpretate. I ruoli che lo resero famoso e
che interpretò con maggior frequenza e in
modo inarrivabile furono soprattutto
Falstaff, Don Giovanni, Leporello, Scarpia,
Figaro, Rigoletto, Jago, Don Carlo e Simon
Boccagnegra |
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La generosità,
l’amore per la gente, per gli amici,
anche per le persone che vedeva per
la prima volta, erano istintivi in
Taddei, quasi una seconda natura. Ne
fui testimone io stesso in quell’ultimo
pomeriggio trascorso insieme. Ero
arrivato da una quindicina di minuti
e mi aveva già chiesto una decina di
volte se avevo mangiato, se avevo
viaggiato bene, se ero stanco, se
volevo un caffè, un grappino. E
continuava a dirmi: “Siediti. Sei
certamente stanco. Aspetta che ti
faccio portare qualche cosa di
caldo. Siediti qui vicino a me che
chiacchieriamo. Come sono contento
di vederti…Ti ricordi a Vienna, nel
gennaio 1984? Io facevo “Falstaff”,
abbiamo cenato insieme, in quel
ristorantino vicino al teatro...
C’era anche tua moglie. Eri già un
po’ calvo ma avevi molti più capelli
di adesso…>>. Rideva continuando a
sciorinare dettagli minimi di
incontri del passato dimostrando una
memoria di ferro. <<Non solo la voce
mi è rimasta intatta>>, affermò <<ma
per fortuna anche la memoria, la
vivacità intellettuale, l’appetito,
insomma sono fortunato e debbo
veramente ringraziare il buon Dio.
Un solo grande dolore: la perdita di
mia moglie, dopo 65 anni di
matrimonio…Pazienza. La vita deve
fare il suo corso…>>.
La vicenda artistica di Giuseppe
Taddei è veramente straordinaria.
Forse unica nella storia della
musica lirica. Non si è mai saputo
che un cantante lirico possa
affrontare ancora il palcoscenico a
85 anni. E affrontarlo in condizioni
di voce che sembravano miracolose.
Voglio qui ricordare ciò che scrisse
di Taddei un altro grande emiliano
della lirica, Luciano Pavarotti.
Richiesto un giorno di dare un suo
parere su Taddei, ha voluto scrivere
di suo pugno un giudizio che, pur
palesando tanta ammirazione, delinea
con competenza le caratteristiche
vocali di questo artista e il tratto
saliente della sua personalità.
Giuseppe Taddei
al pianoforte con lo spartito dei Lieder di
Schubert. Vissuto a lungo in Austria, è
stato il beniamino del pubblico dello
Staatsoper di Vienna, teatro dove ha cantato
per 47 stagioni, per complessive 540 recite. |
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<<Giuseppe Taddei,
per gli amici
"Peppino", è, come
cantante lirico, una
combinazione fra le
più rare che la
storia del
melodramma possa
offrirci>>, scrisse
Pavarotti.
<<Combinazione di
voce grande e bella,
direi quasi "grassa"
nel senso positivo
della parola, e di
arte sublime, arte
non artefatta, ma
che viene da
un'intelligenza
vivissima di
interprete del testo
vocale e musicale, e
insieme da una
presenza scenica che
lo fa sempre essere
al centro
dell'attenzione e
vicino alla
"verità". Non gli
sfugge nulla di ciò
che succede sul
palcoscenico, per
cui le sue reazioni
e ancora di più i
suoi suggerimenti
rendono la scena
sempre esilarante,
sia per l'opera
comica, come "Falstaff"
o l'Elisir d’amore"
come per l’opera
drammatica e
toccante come
"Tosca" o "Simone
Boccanegra". Il suo
repertorio sembra
infinito, uno dei
più vasti, e la sua
carriera è
certamente
inimitabile. Si è
perfino preso il
lusso di
interpretare Wagner
con risultati
grandiosi ...
<<Come uomo, Peppino
resta sempre un
ragazzo…Proprio
così! Che potenza
quella della lirica,
dove ogni dramma è
un falso, ma dove,
con un po' di trucco
e con la mimica, si
può diventare un
altro. “Forse il
poter diventare
ogni
volta un
altro aiuta a rimanere
giovane”,
canta Lucio Dalla nella sua
canzone “Caruso”. Sì, questo
è abbastanza vero nella
nostra professione. Ma
Peppino e più che giovane: è
un ragazzo, e rimarrá cosí
fino alla fine dei
suoi giorni che
spero lontanissima.
Allora con
lui sparirà
un colosso
della lirica |
inimitabile ed il ragazzo
Peppino Taddei che rimarrà
per sempre e per tutti
esempio da seguire per
imparare>>. |
Pavarotti si è
espresso a modo suo, con grande
affetto. Ma anche i critici più
severi hanno sempre riconosciuto a
Taddei questa sua inimitabile
originalità artistica, questa sua
personalità unica, ricca, solare,
leggendaria. La sua voce, di rara
bellezza timbrica, è stata più volte
paragonata dai critici alla morbida
e vellutata cavata di un
violoncello. <<Una voce pastosa,
emessa con grande perizia tecnica>>,
hanno scritto. <<Taddei possiede
l’innato gusto per la fantasia
interpretativa, riuscendo a trovare
per ogni personaggio l’esatta
definizione espressiva, sia in
termini puramente vocali, con
accenti, colori, inflessioni; sia
con il trucco e le movenze in
palcoscenico da grande attore>>. <<Taddei,
il fenomeno>> . <<Taddei o l’arte
dell’intuizione>>. <<Taddei
“mattatore” irresistibile>>. <<Voce
grave, ampia, cordiale>>, ha
sentenziato Lauri Volti dopo aver
ascoltato il baritono genovese in
una edizione di “Otello”.
<<Mi fa sempre molto piacere leggere
quello che i critici hanno scritto
di me>>, mi disse quel pomeriggio
Peppino Taddei. <<Ho raccolto le
critiche che mi riguardano uscite
sui giornali di tutto il mondo. Le
conservo bene ordinate in grossi
volumi. Ogni tanto le scorro,
rileggendo i titoli e rivivendo una
lunga interminabile carriera
dedicata al canto. Io ho poco
merito. Con voci come la mia, che
durano sempre, non bisogna fare
altro che ringraziare Dio. La mia
voce è soltanto un grande dono di
Dio>>.
Giuseppe Taddei
all’inizio della carriera. Nato a Genova il
26 giugno 1916, iniziò a cantare in teatro
all’età di vent’anni e smise quando ne aveva
87. Anche se visse in giro per il mondo, fu
sempre molto legato alla sua città natale. |
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Giuseppe Taddei
a 40 anni. I grandi successi ottenuti
ovunque erano frutto non solo di una voce
straordinaria, ma anche di una eccezionale
capacità interpretativa. Amava molto il
teatro e da giovane, mentre studiava musica
al Conservatorio, aveva frequentato anche
una scuola di recitazione. |
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<<Quali sono i
tuoi prossimi impegni?>>, gli
chiesi a bruciapelo.
Lui mi fissò indagatore.<<Ho
capito>>, disse dopo qualche attimo
di silenzio. <<Vuoi prendermi in
giro. Questa è una domanda che in
genere gli intervistatori fanno ai
giovani o agli artisti in piena
carriera. E tu vuoi sfottermi. Vuoi
insinuare che io a 85 anni non posso
più avere impegni. Ma non mi
arrabbio. Ti rispondo, invece, che
ti sbagli, che al contrario di
quello che pensi ho ancora richieste
di concerti. Da qualche anno non
accetto di interpretare opere
intere, ma solo per prudenza e per
rispetto per i teatri. Però,
concerti sì. E anche selezioni di
opere in forma di concerto.
Nell’ottobre scorso sono stato in
Giappone e nella stessa sera ho
cantato, accompagnato
dall’orchestra, una selezione delle
“Nozze di Figaro” e del “Gianni
Schicchi”. Devo aver fatto colpo
perché gli organizzatori giapponesi
mi hanno rinnovato la richiesta per
altre serate. Non ho avuto il
coraggio di dire di no. In Giappone,
dove ho cantato diverse volte, mi
sono sempre trovato bene. I
giapponesi sono un popolo nobile e
amano veramente la musica. Così ho
accettato, ma senza precisare,
almeno per ora, la data. Penso che
tornerò, se posso, alla fine del
2002 o all’inizio del 2003 e
interpreterò, sempre in forma di
concerto “Otello”>>.
<<Quando hai fatto la tua ultima
opera completa, in teatro?>>
<<Nel 1995, avevo quasi ottant’anni>>.
<<E l’ultima incisione
discografica?>>
<<Nel 1997, a New York, con
Pavarotti>>.
<<A quando risale il tuo debutto in
teatro?>>
<<Al lontano 1936, avevo vent’anni.
Debuttai qui a Roma nel “Lohengrin”
di Wagner. Protagonista era
Beniamino Gigli. Era una delle poche
occasioni in cui Gigli interpretava
Lohengrin. Il baritono era Armando
Borgioli, il basso, Giacomo Vaghi e
il soprano era Franca Somigli. Il
direttore era Tullio Serafin. Io
facevo l’araldo. Una parte
difficile, scoperta, cioè senza
musica di accompagnamento, ed è
molto facile stonare. Ero emozionato
ma ricordo che Gigli mi diede un
calcetto sul fondo schiena dicendomi
“Non ci pensare, Canta e basta.”
<<Fu un debutto preziosissimo per
me. Poter cantare accanto a grandi
artisti di quel calibro significava
fare esperienza e imparare molto.
Per di più quel debutto mi fece
conoscere il direttore d’orchestra,
Tullio Serafin, che poi è diventato
una specie di “papà musicale” per
me. Lui mi ha fatto fare, per sei,
sette anni, le piccole parti
alternate, ogni tanto, ad una grande
parte. Così ho risparmiato la voce e
mi ha fatto maturare.
<<Però, il vero debutto in
palcoscenico lo feci a quindici
anni, in una parte del “Gatto
stivalato” al Carlo Felice. Era una
fiaba lirica sovvenzionata da una
certa contessa Pollastrelli. Doveva
in teoria essere rappresentata per i
ragazzi, ma i prezzi del biglietto
erano così elevati che non venne
nessuno ad ascoltarci. Cantammo
egualmente, a teatro vuoto. Poi la
contessa, come ricompensa per il
nostro lavoro, ci regalò un “gatto
stivalato” tutto d’oro. Un regalo
bellissimo, che le costò un
patrimonio e la mandò quasi in
fallimento. Lo tenevo come uno dei
ricordi più belli e tempo fa i ladri
me lo hanno rubato>>.
<<Come mai hai scelto la carriera
di cantante lirico?>>.
<<Credo di essere nato con questa
passione. Infatti, anche da bambino,
non ho mai pensato di fare nessun
altra professione nella mia vita. Io
sono nato a Genova, in via Gattamora,
a pochi passi dalla casa di Paganini,
nel cuore di Genova>>.
<<I tuoi genitori erano amanti
dell’opera?>>.
<<Sì, ma come del resto tutte le
persone di quel tempo. Allora le
arie delle varie opere erano
popolari come le canzoni di adesso.
Mio padre, originario dell’isola
d'Elba, era operaio meccanico. Mia
madre, invece, aveva una bottega di
scarpe di corda che forniva gli
ospedali di Genova. Se le caricava
addosso per portarle ai clienti. Era
piccolina e si vedevano solo le
scarpe camminare. Mia madre era di
religione protestante, aveva una
bella voce e cantava in chiesa. Io
la seguivo. Fino all’età di 14 anni
sono cresciuto anch’io nella
religione protestante e cantavo in
chiesa con mia madre. Avevo una
bella voce intonata. Mio padre fu il
primo a capire l’importanza della
mia voce naturale, e fin da quando
avevo cinque, sei anni, mi portava
in giro dai suoi amici, mi faceva
salire su un tavolo e mi chiedeva di
cantare le canzoni di quel tempo e
mi piaceva un mondo sentire gli
applausi e vedere l’entusiasmo che
suscitavo. E poi, cantare era un
vero divertimento Per quanto ne so
io, nella nostra famiglia ci fu solo
un vero musicista, uno zio, fratello
di mia madre, che era un flautista
formidabile. Si ammalò e lo misero
al manicomio. Mi ricordo che da
piccolino andavo a trovarlo insieme
a mia madre e parlava sempre di
musica>>.
<<Quando hai visto la prima opera
lirica in un teatro?>>.
<<A sei anni, al Politeama genovese.
Mi portò mia madre. L’opera era
l’Otello, con Tullio Verona e Lina
Rossi Quinzio. Il baritono era Carlo
Morelli. Ne riportai un’impressione
fortissima. Se chiudo gli occhi,
vedo ancora le scene di quello
spettacolo>>.
<<Quindi eri proprio nato per fare
il cantante lirico>>.
<<Sì, credo proprio di sì. Ma per
intraprendere una carriera, bisogna
studiare e in famiglia nessuno ci
pensava, non c’erano i mezzi, si
riteneva la cosa quasi impossibile.
E’ stata la mia maestra della scuola
elementare, Giuseppina Lusso, a
capire che una voce come la mia
andava coltivata con uno studio
regolare>>.
<<Com’eri da ragazzino?>>
<<Un monellaccio. Figlio unico,
coccolato in famiglia, estroverso
per carattere, con una fantasia
scatenata. Ricordo che da piccolino
cavalcavo i leoni di marmo che ci
sono davanti alla cattedrale di San
Lorenzo cantando a squarciagola. Mi
pareva di essere un condottiero,
l’ex corsaro Simon Boccanegra, che
era proprio nato da quelle parti. Ma
non avrei certo potuto immaginare
che molti anni dopo, proprio sul
quel sagrato, avrei cantato il
“Simon Boccanegra” di Verdi,
organizzato da un mio fan club.
<<Sopportavo mal volentieri le
imposizioni disciplinari della
scuola. Per questo, a volte, invece
di seguire i miei compagni in
classe, me ne andavo in mare con i
pescatori e facevo i tuffi dal
pontile delle loro barche. Ma anche
a scuola ne combinavo di tutti i
colori: appendevo magliette dei
compagni fuori dalle finestre,
facevo la pipì nei calamai. Insomma,
ero una piccola canaglia. Alle
lezioni di canto tenevo sempre la
bocca chiusa. La maestra, Giuseppina
Lusso, se ne accorse e mi chiese:
“Ma tu perché non canti mai?” “Io
non canto con gli altri”, risposi.
“Perché?”, chiese lei. “Non mi va,
mi piace cantare da solo”. “Allora,
fammi sentire”, disse la maestra.
Salii sulla cattedra, come facevo
nelle case degli amici di mio padre,
e cominciai a cantare una delle
canzoni che conoscevo bene. La
maestra rimase stupefatta, i miei
compagni seguirono il mio canto
rapiti e alla fine applaudirono
entusiasti”. “Tu hai un dono
meraviglioso”, disse la maestra”, e
cominciò a prendersi cura della mia
voce. Fu lei che mi portò al
Conservatorio, dove cominciai a
studiare musica. Lei stessa mi
insegnava privatamente e mi
preparava per gli spettacoli in
classe.
<<Ero diventato un bambino famoso,
ma continuavo ad essere
indisciplinato. Molto
indisciplinato. La mia maestra
chiudeva un occhio sulle mie
marachelle, ma la direttrice della
scuola no. Alla fine di quell’anno
scolastico ne avevo combinate tante
e la direttrice mi disse che mi
avrebbe dato un votaccio in condotta
sulla pagella. Siccome però dovevo
cantare alla premiazione di fine
anno, io la ricattai. Dissi che se
mi avesse dato un votaccio in
condotta, non avrei cantato. Sapeva
che lo avrei fatto e dovette darmi
la sufficienza>>.
<<Quindi, terminate le elementare
hai frequentato il Conservatorio e
poi, a vent’anni, hai iniziato la
carriera>>.
<<Mi piaceva anche fare l’attore.
Per questo ho frequentato una scuola
di recitazione, scuola che è
risultata in seguito molto utile.
Infatti, le mie interpretazioni sono
sempre state apprezzate perché
riesco a entrare dentro il
personaggio. Quando preparo
un’opera, mi documento sull’epoca in
cui i fatti si svolgono, studio il
modo di vestire della gente in quel
periodo, il modo di comportarsi,
così riesco ad essere più
convincente, più credibile. Il mio è
un lavoro di scavo psicologico. E
anche adesso, quando insegno, la mia
specialità non sta tanto nel
trasmettere agli allievi i segreti
di come si deve emettere la voce,
tenere il diaframma e cose del
genere, ma insegno a entrare nei
personaggi, a cantare le frasi in
modo da far capire i sentimenti, che
possono essere di odio, di amore, di
vendetta, di ira, di paura, di
sospetto. Una stessa frase cambia
radicalmente da come viene
cantata>>.
<<Dopo il debutto a Roma che cosa
accadde?>>
<<Non avevo alcuna fretta di
raggiungere il successo. Anzi, per
la verità non avevo coscienza del
mio valore artistico. Cantavo in
piccole parti ed ero contento. Nel
1937 ebbi la fortuna di essere
assunto come artista nel “Carro di
Tespi”. Era una specie di compagnia
lirica ambulante. Il nome derivava
dal personaggio greco Tespi, poeta a
attore, che peregrinava con la sua
compagnia attraverso l'Attica,
fermandosi a tenere spettacoli
all’aperto. Per analogia venne
chiamato così in Italia il teatro
ambulante creato, nel 1929,
dall'Opera nazionale dopolavoro allo
scopo di portare spettacoli teatrali
anche nei piccoli centri di
provincia e nei paesi. All’inizio
era solo un teatro di opere in
prosa, poi nacque anche il “Carro di
Tespi” per la lirica. Con questa
compagnia ho viaggiato per 42
province. Siamo andati anche in
Sardegna. La paga era buona: 65 lire
al giorno. Se si tiene presente che
con sei lire si mangiava e con
cinque si pernottava, era un bel
prendere.
<<Un giorno, a Savona mi ero
innamorato e dimenticai l’orario
della recita. Arrivai con quasi
un’ora di ritardo. Il presidente
della compagnia voleva licenziarmi,
ma il direttore dell’orchestra, il
maestro Santarelli, si oppose con
veemenza. Ci fu un focoso battibecco
tra i due. “Se va via Taddei vado
via anch’io”, diceva il maestro
Santarelli. Ascoltando quell’alterco,
mi resi conto che ero diventato un
cantante molto quotato nella
compagnia. Santarelli aveva una
grande fiducia in me. Quando, poco
dopo, fu allestita “La Traviata”, il
presidente della compagnia voleva
affidarmi la parte del Barone, che è
piccola, mentre Santarelli si impose
e mi diede la parte di Germont, con
la quale ottenni un grandissimo
successo.
<<Oltre agli impegni nel Teatro di
Tessi, cantavo anche su altre
piazze. Nel 1937 feci il debutto
come protagonista in “Rigoletto” al
Paganini di Genova. Poi cantai in
“Andrea Chenier”, in “Gianni
Schicchi”, “Barbiere di Siviglia”,
“Guglielmo Tell” eccetera. Feci una
memorabile “Traviata” al Politeama
di Genova con Mercedes Capsir-Tanzi,
un soprano spagnolo molto famosa
<<Nel 1941 andai con l’Opera di Roma
a fare una stagione a Berlino.
Cantai nell’”Italiana in Algeri”,
nella “Fanciulla del West”. Ero
fidanzato e mi sposai a Berlino
durante quella tournée. Rientrato in
Italia, dovetti partire per il
servizio militare. Ero nei
Cacciatori delle Alpi. Mi sono
comportato bene anche in guerra e
fui decorato con due croci di ferro.
Quando l’Italia venne invasa dai
tedeschi, l’8 settembre 1943, ero in
Slovenia. Fui fatto prigioniero dai
nazisti e iniziò un calvario>>.
<<Cioè?>>
<<Disagi, sofferenze, fame, miseria,
umiliazioni. I tedeschi ci fecero
fare 250 chilometri a piedi, fino a
Graz, e poi, su un carro bestiame,
ci spedirono in un Lager ai confini
con l’Olanda. Li ci facevano
camminare nudi nella neve e parecchi
morirono di broncopolmonite. Non
c’era niente da mangiare e in un
paio di mesi persi 37 chili. Mi
venne un ascesso sotto un dente.
Avevo febbre e dolori lancinanti. Un
tenente italiano, che era dentista,
mi disse che bisognava strappare il
dente altrimenti l’infezione si
sarebbe diffusa provocando chissà
quali conseguenze. Ma non c’erano
attrezzi adatti. Dovette togliermi
quel dente con un paio di tenaglie
arrugginite e per disinfettarmi usò
della grappa ottenuta
clandestinamente a prezzo di enormi
sacrifici. Ma poi, per fortuna, i
tedeschi scoprirono che avevo una
bella voce e allora la mia vita
cambiò di colpo>>.
<<Come avvenne?>>
<<Fu un cappellano militare italiano
la causa di quel colpo di fortuna.
Sapeva che ero un cantante lirico.
Una sera, poichè nel campo eravamo
tutti tristi, depressi, pieni di
fame, venne da me e mi disse:
“Cantaci qualche cosa di allegro per
tirare su il morale”. Mi sono messo
in mezzo al cortile ed ho cantato
alcune romanze. Mi sentirono anche i
tedeschi. Un sergente maggiore,
appassionato di lirica, mi
riconobbe. Si ricordò di essere
venuto ad applaudirmi a Berlino
quando ero in tournée con l’Opera di
Roma. Venne da me e disse che io
dovevo mangiar bene, non essere
sottoposto a sacrifici, a lavori
duri, non dovevo prendere freddo
perché ero una persona preziosa. E
qualche giorno dopo mi chiese di
andare a cantare per le truppe
tedesche. “Va bene, vengo
volentieri”, risposi, “ma in cambio
voglio che i miei compagni vengano
nutriti a sufficienza”. Accettò. I
miei compagni cominciarono a
ricevere razioni di cibo più
abbondanti e io andavo in giro a
cantare per le truppe tedesche nei
vari Lager della Germania.
<<Sempre per interessamento di quel
sergente, che mi aveva preso sotto
la sua protezione, fui anche
trasferito dal Lager a una
tipografia di Berlino, dove lavoravo
rimanendo al caldo. Mangiavo a
sufficienza, ero trattato bene o
tenevo concerti. Un giorno, una
segretaria mi aiutò a fuggire. Vagai
per la Germania finchè arrivai a
Salisburgo quando la guerra era
ormai finita. Mi consegnai agli
americani i quali sapevano già tutto
di me. Sapevano che ero un cantante
e che avevo tenuti numerosi concerti
in giro per i Lager. Mi chiesero
perciò di cantare per le truppe
americane. Accettai e in pochi mesi
tenni 80 concerti per i soldati
statunitensi. Furono gli americani
che mi accompagnarono a Vienna, mi
presentarono ai dirigenti dello
Staatsoper dicendo: “Questo lo fate
cantare subito e gli fate fare tutto
quello che egli vuole”. Così feci il
mio ingresso in quel prestigioso
teatro>>.
<<Se non sbaglio tu hai cantato
molto allo Staatsoper di Vienna>>.
<<A Vienna ho cantato per
quarantasette stagioni di fila, per
complessive 540 recite. Vienna è
stata una seconda patria per me. A
Vienna avevo una bella casa, i miei
figli sono cresciuti in quella
città. Lo Staatsoper è stato il
“mio” teatro. Quando cominciai a
diradare le mie presenze in
palcoscenico, Vienna mi ha dedicato
una serata di gala, nel corso della
quale mi è stata conferita la
cittadinanza onoraria e consegnato
una medaglia d’oro che soltanto otto
personaggi, prima di me, avevano
ricevuto, e uno di questi era
Herbert von Karajan>>.
<<Sei stato molto amico di
Karajan?>>
<<Lo conobbi nel 1948, in una
località termale vicino a
Salisburgo. Tenevo un concerto e lui
era seduto in prima fila. Mentre
interpretavo la cavatina di Figaro
dal “Barbiere di Siviglia” di
Rossini, vedevo che sorrideva e la
cosa mi dava un po’ fastidio.
Terminato il concerto chiesi al
direttore d’orchestra austriaco chi
fosse quella persona. “E’ il maestro
Karajan”, rispose. “Vieni che te lo
presento”. Quando fummo a quattr’occhi
gli chiesi perché rideva mentre
cantavo la cavatina di Figaro. “Non
stavo ridendo”, disse. “Sorridevo
perché lei è irresistibile
interpretando quella musica. Quando
io potrò dirigere, lei sarà il mio
primo Figaro”. Aveva detto proprio
così: “Quando io potrò dirigere”
perché in quel periodo non poteva
farlo in quanto era sotto processo
con l’accusa di collaborazionismo
con i nazisti. Ma pochi mesi dopo,
finito il processo e assolto da
quell’accusa, riprese l’attività, mi
chiamò affidandomi la parte di
Figaro nelle “Nozze” mozartiane. Uno
spettacolo che ha fatto storia. Con
Karajan ho poi interpretato altre
opere: “Il flauto magico”, “Don
Giovanni”, “Falstaff”. Io ritengo
che sia stato uno dei più grandi
direttori di tutti i tempi. Dal
podio emanava un senso di
tranquillità di distensione, di
naturalezza che facilitavano
enormemente il lavoro
dell’interprete sul palcoscenico. Ti
lasciava cantare, ti infondeva anche
un senso di libertà e di felicità
nel fraseggio, senza frapporti
ostacoli, o peggio importi delle
soluzioni assurde. E’ stata
un’esperienza bellissima cantare con
Karajan. Lo incontrai l’ultima volta
nel gennaio 1987 dopo una recita di
“Tosca” allo Staatsoper. Il maestro
era sofferente, piegato dai
reumatismi, ma lucidissimo di mente.
Gli era piaciuta la mia
interpretazione di Scarpia e venne a
felicitarmi. Mi strinse forte la
mano mormorando con tristezza: “Dopo
di noi, c’è il vuoto…”. Certamente
si riferiva ai trionfi che avevamo
ottenuto con tante recite in
passato.
<<Quante opere avevi in
repertorio?>>
<<150. Un repertorio vastissimo. Dal
Settecento ai contemporanei, ma
soprattutto l’Ottocento classico con
opere di Donizetti, Bellini, Rossini,
Verdi, Wagner, ma poi anche Puccini,
Giordano, Cilea, Mascagni eccetera>>
Qual è stata l’opera che hai
amato di più?
<<”Simon Boccanegra”. Un personaggio
nato e vissuto, come me, nel cuore
di Genova. Poi “Andrea Chenier”,
“Falstaff”, “Otello”, “Tosca”,
“Rigoletto”, eccetera>>.
<<Qual è stata la serata più bella
della tua lunga carriera?>>
<<Ne ho avute tante, non saprei
scegliere. Una serata
indimenticabile fu quella del mio
debutto nel “Simone”, a Trieste nel
1952. Doveva cantare un baritono
ungherese e fu lui a offrirmi il suo
ruolo. Non volevo accettare perché
non conoscevo l’opera e mancavano
solo 12 giorni alla “prima”. Ma quel
baritono aveva intuito che io potevo
fare molto bene quel personaggio e
si offrì addirittura per insegnarmi
la parte. Lavorammo sodo insieme, e
in 12 giorni ero pronto. Fu un
trionfo indimenticabile.
<<Un altro successo strepitoso lo
ottenni al Metropolitan di New York
con “Falstaff” nel 1985. Anche
perché quello era il mio debutto al
Metropolitan>>.
<< Nel 1985 tu avevi già 69 anni:
come mai debuttavi al Met così
tardi?>>.
<<Per una serie di circostanze
curiose e tristi insieme. Nel 1951
cantavo alla Scala di Milano. Rudolf
Bing, che era allora amministratore
generale del Metropolintan venne in
quella città alla ricerca di giovani
talenti da scritturare per il suo
teatro. Qualcuno gli parlò di me. Io
ero già molto famoso, avevo fatto
cose straordinarie con Karajan, con
Serafin, insomma ero un artista già
in grande carriera. Bing mi fece
chiamare dicendo che mi aspettava
per una audizione privata nel suo
albergo. Gli mandai dire che se
voleva sentirmi bastava venisse ad
ascoltarmi alla Scala. Lui
insistette per l’audizione privata e
io non ci andai. Se la prese, e
giurò che, finchè sarebbe stato in
vita, non mi avrebbe fatto mettere
piede a New York. E così, per quella
ripicca, dovetti attendere il 1985
per debuttare il quel teatro.
<<Ma almeno il debutto fu trionfale.
Il New York Times mi dedicò due
articoli a distanza di pochi giorni.
Il critico del Times tra l’altro
affermò: “Questo è il miglior
Falstaff che abbia mai ascoltato”. E
lo stesso hanno scritto gli altri
critici. E tutti in coro si sono
chiesti: “Come è possibile che un
artista della statura di Taddei non
abbia mai messo piede sul
palcoscenico del Met?”.
<<Insomma hai avuto una carriera
proprio leggendaria: sei contento?>>
<<Un artista non è mai contento.
Pensa sempre che potrebbe
migliorare, fare cose ancor più
belle. Ma io sono ormai fuori della
mischia. Non credo che posso
migliorare ciò che ho fatto.
Guardando indietro vedo un lavoro
interminabile e anche molto bello.
Posso dire di essere contento e
ringrazio Dio, perché il merito è
solo suo. Nessuno può “inventarsi” o
“crearsi” la voce per cantare. O Lui
te la regala, o non puoi farci
niente. Ricordatelo!>>.
Renzo Allegri |