In
questi giorni si parla e si scrive molto di Edda Ciano Mussolini (1910-1995). Il
film “Edda Ciano e il comunista”, realizzato dalla Rai, ha richiamato
l’attenzione di massa sulla figlia primogenita del Duce, moglie del conte
Galeazzo Ciano, una donna dal carattere forte, passionale che fu protagonista,
spesso scomoda, in tutte le fasi della sua vita.
Su Edda
Ciano sono stati scritti innumerevoli libri e articoli. Anch’io mi sono
interessato di lei in varie occasioni. Nel 1973, incontrai un personaggio che
la conosceva bene, il sacerdote don Giusto Pancino, suo compagno di giochi
nell’adolescenza e poi testimone di uno dei periodi più drammatici della vita di
Edda, quello seguito alla fucilazione di suo marito. L’ordine di uccidere
Galeazzo Ciano era stato firmato dal Duce e Edda, che adorava il padre, rimase
sconvolta. Non riusciva a concepire che il proprio genitore avesse condannato
l’uomo che lei aveva sposato. Cominciò a odiare il padre come non aveva mai
odiato nessuno. E Mussolini, nel tentativo di riconquistare l’affetto di quella
figlia, per la quale aveva una predilezione, ricorse a don Giusto Pancino, amico
di Edda, pregandolo di incontrarla e di ottenergli il suo perdono. Per oltre un
anno, Il sacerdote si trovò così al centro di una situazione estremamente
drammatica. Un groviglio di terribili vicende familiari, politiche,
diplomatiche. Il duce era a Gargnano sul lago di Garda, dove, sotto l’egida di
Hitler, aveva fondato la Repubblica di Salò. Edda Ciano era fuggita in Svizzera
con i figli. Don Pancino, in incognito e in gran segreto, faceva la spola tra
Gargnano e la Svizzera, ma tra mille difficoltà e sempre inseguito dai servizi
segreti di varie nazioni che gi davano una caccia spietata. Una pagina di storia
che non è conosciuta, ma che offre spunti inediti sulla vita di Edda e di suo
padre Benito Mussolini e su altri fatti dell’ultimo anno di vita del duce.
Quando
lo incontrai, nell’estate del 1973, don Giusto Pancino era parroco a Vivaro, un
paese in provincia di Pordenone. Non gradiva parlare di quella sua ormai lontana
avventura e accettò di farlo solo dopo che gli avevo promesso di fargli leggere
l’articolo prima della pubblicazione. Nel suo racconto citava la Santa Sede, Pio
XII, il Nunzio apostolico, il proprio vescovo. <<Sono un sacerdote tranquillo>>,
diceva. <<Non vorrei che qualche mia frase riferita male mi mettesse in
difficoltà con i miei superiori Non mi sono mai interessati di politica. Ho
incontrato il duce perché me lo chiese il Vaticano>>.
Accettai molto volentieri di fargli leggere l’articolo prima della pubblicazione
perché in questo modo io avevo un documento straordinario in quanto era stato
corretto e rivisto dal protagonista.
<<Sono
nato a Milano nel 1907>>, cominciò a raccontarmi don Giusto in quel pomeriggio
di settembre del 1973, e il suo racconto fu lunghissimo. <<Quando Benito
Mussolini faceva il giornalista a Milano ed era direttore del “Popolo
d’Italia”, io avevo 14 anni. La mia famiglia abitava vicino a quella di
Benito. Ero amico dei suoi figli, in particolare di Edda, che aveva tre anni
meno di me. Era una ragazzina magra, nervosa con due grandi occhi. Con lei
andavo d’accordo, giocavamo e stavamo volentieri insieme.
<<Allora studiavo per diventare ragioniere, ma per guadagnarmi qualche cosa
facevo il garzone in un’edicola. Tutte le mattine Mussolini veniva a prendere il
giornale. Era sempre corrucciato e pensieroso. Mi diceva, “Ragazzo, dammi
giornali istruttivi”. Furono gli unici contatti che ebbi allora con Mussolini.
<<Nel
1924, la famiglia Mussolini si trasferì a Roma. Per qualche anno continuai a
ricordarmi di Edda, ma poi la dimenticai. Terminati gli studi di ragioneria,
entrai in seminario e divenni sacerdote. Frequentai l’università e mi dedicai
all’insegnamento.
<<Nel 1941 andai in Albania, cappellano
militare al "campo 27".
<<Un giorno, vestita da crocerossina,
arrivò nella mia tenda Edda Mussolini. Fu un incontro cordialissimo.
Ritornammo ad essere i vecchi amici di un tempo. Edda era venuta in Albania
insieme con un'amica, Natalia Paresce, nipote di Guglielmo Marconi. Tutte e due
restarono nel mio ospedale da campo e lavorammo insieme.
<<In quel periodo, anche Mussolini venne a
fare una visita in Albania. Edda me lo presentò e gli ricordò i tempi in cui
noi due eravamo ragazzi a Mlano. Io dissi al duce che gli vendevo il giornale.
In quei giorni, gli fui molto vicino. Lo accompagnavo negli ospedali da campo,
cenavo con lui. Parlavamo dei problemi dei soldati e soprattutto di quelli dei
feriti. Mussolini mi fece un'impressione strana. Lo pensavo un uomo duro,
sprezzante, freddo; invece, lo trovavo diverso. Quando era in pubblico,
attorniato dai collaboratori, era taciturno e corrucciato. Quando eravamo soli,
appariva mite, remissivo, preoccupato. Davanti ai feriti e al sangue,
impallidiva.
<<Nel mio campo c'era un soldato che
aveva perduto le mani, le gambe e la vista. Accompagnai Mussolini al letto di
questo ferito e dissi: “Cesare, c'è qui il duce che vuole salutarti”. Quel
soldato alzò il moncherino fasciato in segno di saluto. Sul volto di Mussolini
apparve una smorfia di dolore e di contrarietà.
<<Nel 1942, tornai in Italia. Ero
ammalato. Il vescovo mi chiese dove volevo andare a fare il parroco. Scelsi un
piccolo paese vicino a Belluno, Erto, che in seguito fu distrutto dal disastro
del Vaiont. Qui condussi vita ritirata e tranquilla. Seguii le vicende
politiche del Paese solo attraverso i giornali: la crisi del fascismo, la
caduta di Mussolini, la prigionia sul Gran Sasso, la fuga e poi la nascita della
Repubblica di Salò. Seguii anche il processo di Verona.
<<Dodici giorni dopo l'esecuzione della
sentenza di Verona, seppi che Mussolini voleva vedermi a Gargnano, vicino a
Salò, dove aveva sistemato il suo quartier generale. La sentenza era stata
firmata da Mussolini. Tra i condannati c'era anche Galeazzo Ciano, marito di
Edda Mussolini. Edda, rifugiata in Svizzera con figli, si era battuta con tutte
le forze perché suo marito fosse salvato. Ma Mussolini, pressato dai
collaboratori, fu costretto a sbarazzarsi senza pietà dei cosiddetti
"traditori". Però, dopo l'esecuzione della sentenza, si rese conto di aver
perduto anche Edda, la figlia prediletta, e di questo non si dava pace. Fu
allora che si ricordò di me, dell'amicizia che avevo per Edda. Mi fece chiamare
per mandarmi in Svizzera a ottenere il perdono dalla figlia>>.
<<Come trovò Mussolini nel suo
esilio di Gargnano?>>,
chiesi.
<<Un uomo diverso da quello che avevo
conosciuto in Albania, tre anni prima. Era dimagrito e invecchiato. Il primo
incontro avvenne il 22 febbraio 1944, al tramonto. Era una serata umida e
nebbiosa. Mussolini era nella sua villa, di proprietà di Feltrinelli. Le prime
battute furono fredde, convenzionali, poi la conversazione si fece più
distesa. Mussolini mi disse che era profondamente amareggiato per il
comportamento della figlia e che non voleva perderne l'affetto, per nessuna
ragione al mondo. Parlammo naturalmente del processo di Verona e della
condanna di Ciano. Mi disse che aveva dovuto agire così per "ragion di Stato".
Continuava a ripetere che non aveva avuto possibilità di scelta, che aveva
firmato la condanna di Ciano con la morte nel cuore, pensando a Edda.
<<Parlammo a lungo, e il discorso tornava
sempre sulla morte di Ciano. L'ombra del genero era presente come un incubo.
Mussolini continuava a cercare argomenti e ragioni per giustificarsi. “Lei deve
farlo capire a Edda”, mi ripeteva “deve convincerla che io non sono colpevole,
che non potevo fare diversamente”. Il colloquio durò fino a tardi. Mussolini si
incaricò di farmi ottenere tutti i permessi per entrare in Svizzera. Gli feci
presente che non potevo lasciare la parrocchia senza l'autorizzazione del mio
vescovo. “Ci penso io, anche per questo”, rispose.
<<Nell'attesa di ottenere i permessi,
incontrai Mussolini più volte. Era sempre nello stesso stato d'animo:
tormentato, sofferente, depresso. Parlava di Edda, di Ciano e di morte>>.
<<Parlavate anche della situazione
politica italiana?>>.
<<Anche di quella. Mussolini era
pessimista. Temeva una catastrofe improvvisa. Diceva: “Da un momento all'altro
mi possono uccidere”. Oppure: “Se cado nelle mani degli alleati, mi porteranno
in giro, come un fenomeno da mostrare al mondo” ».
<<Quando partì per la Svizzera?>>.
<<Dopo la metà di marzo. I permessi della
Santa Sede arrivarono in fretta, ma quelli del governo svizzero si fecero
attendere. Le autorità elvetiche erano diffidenti. Ripetutamente dovetti
dichiarare che il mio viaggio non aveva scopi politici. Quando seppero che
dovevo avvicinare Edda Ciano, opposero un secco rifiuto. Solo l'intervento del
nunzio apostolico mi fece superare quella difficoltà>>.
<<Dove incontrò la figlia di Mussolini?>>.
<<Edda si trovava a Ingenbohl, nel convento
del Heiliger Kreuz. Portavo con me le ultime lettere di Galeazzo Ciano, i suoi
oggetti personali e una lunga lettera di Mussolini. Era una lettera umile,
dolce, piena d'affetto, la lettera di un padre spaventato all'idea di perdere
l'affetto della figlia prediletta.
<<Edda era in uno stato di terribile
disperazione. Ogni parola era un'accusa contro il padre e una minaccia di
vendetta. Se tentavo di dirle che Mussolini chiedeva il suo perdono, l'odio di
Edda si rivolgeva contro di me. Rimasi con lei una ventina di giorni cercando
di confortarla, ma senza ottenere niente di quanto mi aveva chiesto Mussolini.
Quindi tornai a Gargnano.
<<Mussolini restò malissimo quando gli
riferii l'esito della mia visita a Edda. Continuava a farmi domande, a chiedere
particolari, e ogni mia risposta lo addolorava sempre più. Faceva lunghi
monologhi parlando delle sue sofferenze, del bene che voleva a Edda, della sua
vita sbagliata. Non avrei mai immaginato che potesse ridursi in quelle
condizioni. Certe volte la sua voce era rotta dalla commozione gli occhi
luccicavano, sembrava stesse per piangere. Quando uscivamo dalla sua stanza,
gonfiava il torace, stringeva i denti, alzava la testa, tornava ad essere il
duce che tutti conoscevano. Ma dentro quelle quattro mura era uno straccio di
uomo.
<<Dopo la metà di aprile mi chiese di
tornare ancora da Edda. Mi consegnò una lettera in cui, tra le altre cose,
scriveva alla figlia: “Sulle rive di questo lago tutto appare calmo, appare...
Mi rendo conto della tua situazione e spero che un giorno più o meno lontano ti
renderai conto della mia, personale e politica...”. Mi diede anche una lettera
che aveva appena ricevuto da Carolina Ciano, la madre di Galeazzo. “Faccia
leggere questa lettera a Edda”, mi disse. “Le dica che anche la madre di
Galeazzo ha compreso la mia situazione: ha capito subito e mi ha risposto con
parole affettuose”.
<<La lettera, che conservo
ancora perché Edda non la volle, diceva: “Mio
carissimo, sono commossa per le tue buone parole. Tutto quello che fai e farai
per me è rivolto soltanto ai nostri tre cari nipotini. Ho saputo da mio cognato
della traslazione della mia adorata salma. E, se ora riposa vicino ai suoi e
ai miei cari, è per volere tuo. A te tutta la mia gratitudine! Se potrai
ricevermi ne sarò lieta e riconoscente. La mia Pasqua è stata triste come la
tua. Sola con i miei pensieri e lontana dalla cara Edda e dai bambini. Dal mio
animo grato i miei auguri di una pace che meriti, con molti affettuosi saluti.
Carolina Ciano”.
<<Anche il secondo viaggio fu
negativo. Intanto la mia missione si complicava. Edda Ciano era in possesso dei
famosi Diari
del marito,
che facevano gola a Himmler, capo delle SS. Himmler sapeva che nei Diari
Ciano aveva trascritto lunghi colloqui avuti con Ribbentrop. Il ministro degli
Esteri tedesco aveva espresso giudizi negativi su Hitler. Himmler voleva
accusare Ribbentrop di fronte al Fuhrer ed era disposto a tutto per avere quei
diari.
<<Le SS sapevano dei miei viaggi in
Svizzera e mi davano una caccia spietata. Più volte fui avvicinato da emissari
di Himmler che mi offrivano denaro, libertà e qualunque cosa desiderassi, in
cambio dei Diari di Ciano. L'ultima offerta furono cento milioni in
contanti, da ritirare in Svizzera, e la possibilità di scappare in qualunque
parte del mondo. Alle offerte aggiunsero anche le minacce. Nei miei viaggi in
Svizzera dovetti ricorrere ad astuzie di ogni gnere per sfuggire alle trappole
degli emissari di Himmler. I miei spostamenti diventavano sempre più pericolosi
e avventurosi. Una volta io e Edda, per sfuggire alle spie tedesche, ci
incontrammo in cima a una grossa quercia. Eravamo costretti ad adoperare parole
segrete per fissare gli appuntamenti. Riuscii, però, a sfuggire sempre agli
agguati delle SS>>.
<<Lei fu in possesso dei Diari di
Ciano?>>.
<<Sì, quei famosi quaderni restarono
nelle mie mani per parecchi giorni. Edda me li consegnò nel convento del Heiliger Kreuz perché li portassi al sicuro. Li tenni nascosti nella mia stanza
per un po', e quando si presentò l'occasione buona andai a Berna e li
depositai al Credit Suisse. Poteva ritirarli solo chi avesse pronunciato una parola
d'ordine dai tre numeri della data di nascita di Edda Mussolini>>.
<<Fu poi Edda a ritirare Diari>>.
<<Sì, e li vendette agli americani per
200 milioni, riservandosi i diritti d'autore sulle pubblicazioni>>.
<<Quando tornava dalla Svizzera, lei
andava sempre a Gargnano, da Mussolini?>>.
<<Tornavo a riferirgli i risultati dei
colloqui con Edda. Le notizie erano sempre le stesse: Edda non voleva sentir
parlare di suo padre. Mussolini, intanto, mi si era affezionato. Si confidava.
Nell'aprile del 1944 cominciò a dirmi di essere credente, cattolico romano.
Quando attaccava questi discorsi, cercavo di cambiare argomento, perché
pensavo che parlasse di religione solo per farmi piacere. Si accorse che
dubitavo della serietà delle sue parole e mi ripetè più volte di essere
credente. Mi disse che non si era mai mostrato praticante per non attirare la
curiosità della gente sulla sua persona. Mi chiese di diventare il suo
assistente spirituale e manifestò il desiderio di confessarsi. Parlammo anche
di Claretta Petacci. Cercava di giustificare quella relazione con ragioni
infantili: diceva che tutti i grandi uomini politici avevano avuto un'amante.
<<Mussolini insisteva perché lo
confessassi e lo assolvessi dei suoi peccati. Lasciai passare del tempo per
vedere se erano desideri passeggeri, suggeriti dalla sua depressione, ma lui
insisteva. Allora cominciai a pensare che si fosse convertito realmente. Però,
confessare Mussolini non era una cosa semplice. Aveva commesso peccati riservati
al Papa, non potevo assolverlo senza una particolare autorizzazione. Mi rivolsi
al Vaticano, e alla fine di giugno 1944 Pio XII mi mandò l'autorizzazione ad
assolvere, in nome del Papa, Benito Mussolini da tutti i peccati e delitti
commessi qualora avesse manifestato pentimento e contrizione >>
<<E
lei si servì di quella autorizzazione? >>
<<Cominciai a preparare Mussolini
perché facesse una confessione generale. Volevo che la sua riconciliazione con
Dio avvenisse nel modo migliore. Ma improvvisamente accadde un fatto che cambiò
completamente i propositi di Mussolini: l'attentato del 20 luglio 1944 contro
Hitler. Il colonnello Von Stauffenberg collocò una bomba nel quartiere generale
del Fùhrer, a Rastenburg, nella Prussia orientale. Hitler rimase ferito soltanto
leggermente e si vendicò immediatamente dei suoi attentatori. Kluge e Rommel,
implicati nella congiura, si tolsero la vita; gli altri vennero giustiziati.
<<Proprio in quei giorni Mussolini ebbe un
incontro con Hitler a Rastenburg. Quando tornò a Gargnano, era completamente
cambiato. Non appariva più triste, sfiduciato, depresso, ma euforico, sicuro di
sé, sprezzante della situazione, del pericolo. Le parole di Hitler lo avevano
drogato. Non gli interessava più il giudizio della figlia Edda, non parlava
più della morte di Ciano, non manifestò più il desiderio di confessarsi; anzi,
non mi parlò più di religione.
<<Il suo Dio era Hitler. Continuava a
parlare di Hitler. “Vinceremo noi”, ripeteva. “Hitler mi ha convinto. I suoi
scienziati hanno messo a punto un'arma eccezionale, una bomba che piegherà i
nostri nemici. Sono già stati fatti i primi esperimenti in un'isola nel Baltico,
con rsultati eccezionali. Si tratta di resistere ancora qualche mese, poi la
vittoria sarà nostra”. Quando Mussolini parlava di quest'arma, i suoi occhi
sembrano di fuoco. Con me, ora, teneva un contegno distaccato. Capii che la mia
missione era finita e chiesi di tornare alla mia parrocchia di Erto.
<<Per quattro mesi non seppi niente di
Mussolini, né di Edda Ciano. Nel dicembre 1944 Mussolini mi fece chiamare
ancora. La sicurezza della vittoria era sfumata, l'infatuazione per Hitler era
scomparsa. Questa volta mi chiese di andare in Svizzera non solo per
incontrare Edda, ma per chiedere al nunzio apostolico di trattare una resa con
gli alleati. Mi disse che era deciso a finirla, perché ormai non c'erano più
speranze.
<<Andai in Svizzera. Anche
questa volta il viaggio fu molto avventuroso. Edda Ciano non era più nel
convento di Ingenbohl: si era fatta ricoverare in una clinica presso Losanna.
Aveva i nervi a pezzi. Le parlai ancora di suo padre, del motivo per cui ero
venuto in Svizzera. E lei, sempre con grande odio verso Mussolini, mi rispose:
“Di' a mio padre che gli restano solo due soluzioni: o fuggire o suicidarsi”.
<<Incontrai il nunzio apostolico e gli
riferii quanto mi aveva detto Mussolini. “Informerò subito la Santa Sede”,
rispose il nunzio “e inizieremo le trattative al più presto”. Tornai a Gargnano. Intanto i tedeschi avevano sferrato la controffensiva delle Ardenne e
stavano respingendo gli alleati. Mussolini si era ricaricato e mi disse:
“Riprenda contatto con il nunzio e fermi le trattative per la resa: c'è ancora
la possibilità di vincere”.
<<In quel periodo seppi che i tedeschi
avevano rubato il "diario" scritto da Mussolini durante la prigionia sul Gran
Sasso. Il diario era stato tradotto in tedesco e consegnato a Hitler. Riferii
a Mussolini quanto avevo saputo. Lui restò allibito. Il giorno dopo mi chiamò
per chiedere altri particolari. Era sconvolto. Mi disse che in quel diario
aveva scritto giudizi molto pesanti su Hitler. Aveva riportato anche un
giudizio di Vittorio Emanuele III, che un giorno gli aveva detto: “Hitler è
uno jettatore: ogni volta che viene in Italia accadono catastrofi”. Aveva
riferito che Bottai usava chiamare Hitler “ridicolo topo”. Lasciai Mussolini
in preda a gravi preoccupazioni e tornai alla mia parrocchia.
<<Verso la fine del gennaio 1945 fui chiamato a Gargnano ancora una volta.
L'offensiva tedesca nelle Ardenne era fallita, la Germania stava per crollare.
Mussolini era di nuovo disperato. Mi chiese di tornare in Svizzera per trattare
la resa con gli alleati. Partii immediatamente e incontrai il nunzio
apostolico, il quale, attraverso la Santa Sede, iniziò i contatti. Gli alleati
si dissero disposti a trattare, ma senza condizioni. Riferii a Mussolini.
“Chiedo soltanto di salvare la faccia”, disse. La Santa Sede continuò le
trattative. Mussolini doveva recarsi in Svizzera per incontrare gli alleati, le
SS erano al corrente di ogni cosa. Il generale Karl Wolff, comandante delle SS
in Italia, si intromise e riuscì a impedire la partenza del duce e a bloccare le
trattative. Contemporaneamente, cominciò lui a trattare la resa con gli alleati
e la concluse nell'aprile, riuscendo in questo moda a salvare se stesso. Se non
si fosse intromesso il generale Wolff, forse Mussolini non sarebbe caduto in
mano ai partigiani e non sarebbe stato fucilato>>..
<<Quando avvenne il suo ultimo
incontro con Mussolini?>>.
<<In marzo, una quarantina di giorni prima
della sua morte. Era cosciente che la fine era prossima. “Finirò ucciso”, mi
ripeteva. No, non penso che avesse paura. Era diventato cinico. Restai con lui
alcune ore, ma non mi parlò di Dio, non mi chiese di confessarlo. Tentai di
risvegliare in lui i sentimenti religiosi che mi aveva manifestato un anno
prima. “Ciano si è riconciliato con Dio prima della fine, è morto in pace”,
dissi. Mussolini restò sopra pensiero, ma non mi rispose>>.
Renzo
Allegri
didascalie foto:
Foto 1 – Don Giusto Pancino, nel 1973, fotografato nel corso
dell’intervista qui riportata. Aveva allora 66 anni ed era parroco di Vivaro, in
provincia di Pordenone.
Foto 2 – Foto 2 - Edda, figlia primogenita di Benito Mussolini nata nel
1910 e morta nel 1995. Aveva sposato il conte Galeazzo Ciano, nel 1930, dal
quale ebbe tre figli.
Foto 3 – Galeazzo Ciano in una foto del 1937. Marito di Edda Mussolini,
fu sempre molto vicino al duce, ma non condivideva l’entusiasmo di Mussolini per
Hitler. Nel 1943 contribuì alla caduta del duce e venne condannato a morte per
alto tradimento. Fu fucilato a Verona nel 1944.
Foto 4 – Benito Mussolini e Hitler durante un loro incontro.
Foto 5 – Benito Mussolini nella foto ufficiale di capo del Governo del
Regno d’Italia.
Foto 6 – Una delle ultime immagini di Mussolini, a Gargnano durante il
periodo della Repubblica di Salò. <<Era sempre tormentato, sofferente,
depresso, parlava di morte>>, ricordava don Giusto Pancino che il quel periodo
lo incontrò spesso.
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