Giovanni Paolo II: Uomo, Papa e Santo da leggenda
28/04/2011

di Renzo Allegri

Domenica, primo maggio, Giovanni Paolo II diventa beato. Papa Benedetto XVI, con una solenne cerimonia in Piazza San Pietro, ne proclamerà la santità davanti a una folla venuta da tutto il mondo.
Sei anni fa, e precisamente l’8 aprile 2005, su quella stessa piazza, Benedetto XVI, che era allora il cardinale Joseph Ratzinger, celebrò i funerali di Papa Wojtyla e durante l’omelia la folla gridava: “Santo, santo subito”. Un’invocazione che sembrava irrealizzabile, in quanto i tempi per le cause di beatificazione sono sempre lunghi, durano un minimo di una trentina d’anni. Invece, per Giovanni Paolo II è accaduto l’incredibile. Per lui, il tempo trascorso dalla morte alla beatificazione è stato di soli sei anni e un mese. Il più breve nella storia dei processi di beatificazione.
La Chiesa richiede, prima di procedere alla proclamazione della santità di una persona, che Dio stesso intervenga a favore del candidato con un miracolo. Ci sono cause iniziate da decenni e ferme per mancanza di tale evento. Per Papa Wojtyla, invece, su questo punto c’è stato solo l’imbarazzo della scelta. Monsignor Slawomir Oder, postulatore della causa di beatificazione di Papa Wojtyla, presentando, nel 2008, alla Congregazione per le cause dei santi, la “Positio”, cioè il resoconto del lavoro di ricerca da lui svolto, ha potuto inserire la documentazione di ben 271 miracoli attribuiti all’intercessione di Giovanni Paolo II. Un numero incredibile. Tra essi, quello riguardante Marie Simon Pierre Normand, una religiosa francese della congregazione delle “Piccole suore della maternità”, che da cinque anni era stata colpita dal Morbo di Parkinson, ed è guarita all’improvviso, dopo che le sue consorelle avevano pregato Giovanni Paolo II. Esaminata da una commissione medica, la guarigione della suora è stata giudicata “assolutamente inspiegabile da un punto di vista scientifico”. Suor Marie Simon, che ora ha 50 anni, gode ottima salute, lavora in un ospedale e il primo maggio sarà a Roma, alla cerimonia di beatificazione di Papa Wojtyla.


La storia della vita di Karol Wojtyla sembra un romanzo.
Una di quelle storie piene di eventi imprevisti, di colpi di scena, con il protagonista che ha l’aspetto di un eroe, il coraggio di un guerriero, sempre pronto a battersi per grandi ideali, contro nemici potenti, che sembrano invincibili, ma alla fine è sempre lui ad aver ragione.

Da giovane, Giovanni Paolo II non seguì la normale formazione sacerdotale comune a tutti i sacerdoti della sua generazione. Non crebbe, cioè, in un seminario, ma fino a 25 anni visse nel mondo. Anzi, fino a 22 anni non immaginava di intraprendere la strada del sacerdozio. Era un giovane bello, intelligente, sportivo, amante delle feste e corteggiato dalle coetanee. Pensava di sposarsi e di avere dei figli. E come professione aveva scelto l'arte: l'arte della parola scritta e della parola recitata.
Prima di scoprire la propria vocazione religiosa, infatti, si era affermato come attore al punto da essere considerato una delle grandi speranze del teatro polacco. E si era affermato anche come autore, componendo drammi che sono ancora rappresentati e fanno parte della storia della letteratura del suo Paese.
 
Karol Wojtyla nasce a Wadowice, in Polonia, il 18 maggio 1920. Suo padre, Karol senior, è un sottufficiale dell'esercito austroungarico, e la madre, Emilia Kaczorowska, fa la sarta. Si erano sposati nel 1904 e il futuro Papa è il loro terzo figlio.
Il primogenito, Edmund, era nato nel 1906. Nel 1914 i coniugi Wojtyla avevano avuto una bambina, Olga, vissuta per solo pochi giorni.
I medici avevano proibito a Emilia di avere altri figli. La donna era sempre stata cagionevole di salute e le due maternità avevano complicato la situazione. Ma alla fine del 1919, Emilia si accorge di essere di nuovo incinta. I medici constatano una gravidanza a rischio per la madre e per il nascituro e invitano Emilia ad abortire, ma lei rifiuta. Le sue convinzioni religiose erano contrarie all' aborto e, pur tra grandi difficoltà, porta a termine la gravidanza.
Il parto è difficile, ma il bambino nasce sano e viene chiamato Karol, come il padre. Da quel momento, però, l'esistenza di Emilia diviene precaria. Gravi disturbi al cuore e ai reni le procurano dolori continui e frequenti ricoveri in ospedale. Il piccolo Karol, che in famiglia viene chiamato Lolek, nonostante la malattia della madre, cresce sereno. Nel 1926 comincia ad andare a scuola. Ha difficoltà in matematica, ma con l'aiuto del fratello maggiore, che era già universitario, riesce a superarle e a diventare uno dei migliori allievi.
Nell'inverno del 1928 le condizioni di salute di Emilia si aggravano. Lolek, che ha compiuto otto anni, comincia a capire e ad avere il terrore di perdere la mamma. Un suo insegnante di allora ha raccontato che il bambino era spesso pensieroso e assente.
La mattina del 13 aprile 1929, Lolek, dopo aver fatto colazione, esce di casa per andare, come al solito, a scuola. Verso mezzogiorno arriva nella sua classe il preside e dice a11'insegnante che doveva parlare con il piccolo Wojtyla. Fuori dell'aula, Lolek vede una vicina di casa. Capisce che è accaduto qualcosa di grave alla sua mamma e scoppia a piangere. La signora Emilia, infatti, è spirata poco dopo aver mandato a scuola il bambino.
La salma esposta nella casa, i funerali, la sepoltura nel cimitero impressionano tremendamente Lolek. Quel lutto segna la sua vita per sempre. Tutti gli amici di Karol Wojtyla sono concordi nel dire che egli rimase sconvolto dalla perdita della madre al punto di non riuscire quasi mai a parlare di lei.
Anche il dolore di Karol Wojtyla senior per la perdita della moglie fu grandissimo. In poche settimane i suoi capelli divennero completamente bianchi. Avrebbe potuto risposarsi, soprattutto per dare una mamma al piccolo Lolek, ma non lo fece. Decise di dedicarsi completamente al figlio. Lasciò definitivamente l'esercito andando in pensione con il grado di tenente, ma a Wadowice tutti lo chiamavano il "capitano". Per 12 anni, dal 1929 al 1941, fu, per Lolek, padre. mamma, amico, maestro, esempio e modello di vita cristiana. Ha scritto Giovanni Paolo II: «Potevo quotidianamente osservare la sua vita, che era austera. Mi capitava di svegliarmi di notte e di trovare mio padre in ginocchio, così come in ginocchio lo vedevo sempre nella chiesa parrocchiale».

Perduta la madre, Lolek riversa tutta la propria affettività sul padre e sul fratello maggiore. Edmund aveva allora 23 anni ed era studente universitario di medicina a Cracovia. Le testimonianze lo descrivono come un ragazzo sano, intelligentissimo, forte, equilibrato, obbediente e molto religioso.
Nel 1930, Edmund si laurea ed entra come assistente in cardiologia nell'ospedale di Bielsko, nella Slesia. Alla fine di novembre del 1932, in quell'ospedale viene ricoverata una ragazza colpita da scarlattina settica, malattia infettiva mortale, perchè allora non c'erano gli antibiotici. Nessuno dei medici vuole curarla. Edmund si offre volontario. Contrae la malattia e muore.
Quella tragedia è un altro duro colpo per Lolek. Ora gli rimane solo il papà. I due diventano inseparabili. Le loro giornate sono regolate da un orario ferreo: sveglia alle sei, colazione, messa in parrocchia. Poi Lolek va a scuola e Karol provvede a riassettare la casa, a fare il bucato, a rammendare i vestiti e a cucinare. Nel pomeriggio, dopo pranzo, Lolek può dedicarsi per due ore a giocare con gli amici, poi studia con il padre, un uomo molto colto, appassionato di letteratura e di storia.

Intanto Lolek si è fatto un giovane di straordinaria bellezza. Al liceo è l'idolo delle ragazze. Inizia a fare l'attore, ottenendo successi strepitosi. Scrive poesie. Ama ballare. Compone canzoni. E’ il re delle feste.
Superata la maturità a pieni voti, si trasferisce a Cracovia per l’università. Porta con sé il padre e vanno a vivere in un appartamentino seminterrato, umido e quasi buio. La loro esistenza diviene ancora più spartana e difficile.
Anche a Cracovia Lolek si dedica al teatro e alla poesia. Frequenta i caffè letterari, i salotti dove si tengono concerti e si leggono poesie. Come attore continua a ottenere affermazioni sempre più importanti.
Poi scoppia la guerra. Il 1° settembre 1939 Cracovia è devastata da un terribile bombardamento. La Polonia viene invasa dai nazisti di Hitler e la vita dei polacchi sprofonda nell'inferno.
Per non essere deportato nei lager, Lolek deve trovarsi un lavoro e viene assunto come manovale nell'azienda chimica Solvay, gestita dai tedeschi. Lavora prima in una cava, poi nella fabbrica, con turni anche di notte.
Non smette di fare l'attore. Diviene un esponente di spicco del "Teatro rapsodico", movimento drammaturgico ma anche patriottico e per questo clandestino. Le rappresentazioni si tengono in abitazioni private. Gli attori costituiscono un gruppo molto affiatato. Alcuni di essi, in seguito, saranno famosi, come Halina Krolikiewicz, allora prima attrice e da molti indicata anche come fidanzata di Wojtyla.

La grande svolta
Gli stenti imposti dalla guerra e l’umidità del piccolo appartamento dove viveva, si rivelano fatali per Karol Wojtyla senior. II capitano si ammala di cuore. Lolek lo assiste e si allontana da casa per andare al lavoro sempre molto preoccupato. Il 18 febbraio 1941, rientrando dal lavoro, trova il suo papà morto. Il capitano è stato stroncato da un infarto. Lolek, sempre forte, sempre pronto a lottare, quel giorno si lascia vincere dal dolore, abbandonandosi a un pianto dirotto che nessuno può calmare.
La perdita del padre cambia la vita di Karol Wojtyla. A 21 anni si trova solo al mondo. Per non diventare preda della disperazione, si getta con ancor più passione nell' attività di attore e drammaturgo. Ma nel suo cuore sorgono interrogativi che prima non conosceva. La sua patria invasa dai nazisti. La vita quotidiana, un inferno. Molti suoi compagni, morti; altri, nei lager. Che senso hanno i suoi sogni di gloria e la sua passione per il teatro? Comincia a sentire un'interiore chiamata al sacerdozio. E, dopo giorni di riflessione, decide di cambiare vita. Annuncia agli amici del "Teatro della parola" la sua decisione. Gli amici trascorrono una notte intera a discutere con lui per fargli cambiare idea, ma non riescono.
Karol Wojtyla si reca dall'arcivescovo di Cracovia per chiedere di entrare in seminario. Ma il seminario è stato chiuso dai nazisti e così Wojtyla diventa un seminarista clandestino. Studia teologia, continuando a fare il manovale alla Solvay. Solo alla fine della guerra, e cioè nel 1945, il seminario riapre e Wojtyla può finalmente diventare seminarista in modo ufficiale. Ma il suo periodo di formazione dura soltanto un anno. Il 1° novembre 1946 è ordinato sacerdote e subito inviato a Roma per la specializzazione in teologia.

Da Padre Pio
A Roma, il giovane don Karol Wojtyla scopre di avere una grande attrazione per la teologia mistica. E’ un poeta, ha un'indole contemplativa, ha già letto le opere di San Giovanni della Croce e di Santa Teresa d'Avila, i due grandi santi spagnoli del secolo Sedicesimo, massimi teorici della teologia mistica. Si sente in perfetta sintonia con loro e pertanto decide di approfondire questo argomento, preparando una tesi di laurea dal titolo “La dottrina della fede secondo San Giovanni della Croce”.
Mentre studia all'Angelicum di Roma, viene a sapere che a San Giovanni Rotondo, in Puglia, vive un frate cappuccino che ha le stigmate. Porta, cioè, sul proprio corpo i segni fisici della Passione di Cristo, che sono una delle manifestazioni più emblematiche dell’esperienza mistica. Decide di andare a conoscerlo.
Approfitta delle vacanze pasquali del 1948 per raggiungere San Giovanni Rotondo. Rimane ospite nel convento di Padre Pio per una settimana. Incontra, quindi, varie volte il frate con le stigmate e, come egli stesso ha raccontato, va a confessarsi da lui. Che cosa gli abbia detto Padre Pio non si sa. Dopo la sua elezione a Pontefice, fu scritto che Padre Pio gli aveva profetizzato il pontificato, ma non ci sono documenti attendibili. Resta però il fatto che, da allora, Karol Wojtyla non dimentica più Padre Pio, lo difende sempre, quando ha bisogno di aiuti spirituali ricorre a lui e diventa il suo principale sostenitore durante il corso della causa di beatificazione.
Tornato a Roma, Wojtyla conclude gli studi, completando la tesi su San Giovanni della Croce. Il 14 giugno 1948 supera gli ultimi esami. Il 19 giugno sostiene la discussione della tesi, ottenendo il massimo dei voti, ma non il dottorato. Per ottenerlo, secondo le regole vigenti allora all'Angelicum, lo studente deve pubblicare la tesi, ma Wojtyla non ha soldi per farlo e rimane senza il titolo. Al rientro in patria, però, sottopone la tesi alla facoltà di teologia dell'università Jagellonica di Cracovia, che, dopo averla esaminata, nel dicembre 1948, lo nomina "dottore in teologia".

A Roma, don Wojtyla aveva riflettuto molto sulla propria vocazione. Gli studi di teologia mistica gli avevano aperto nuovi orizzonti. Ora desidera ardentemente ritirarsi in un monastero per dedicarsi alla vita contemplativa. Vuole diventare monaco carmelitano. Chiede il permesso al proprio arcivescovo, Adam Sapieha, ma riceve un rifiuto. Fa intervenire il superiore generale dei carmelitani, ma l'arcivescovo dice ancora di no. E, con tono profetico, aggiunge:
«Abbiamo pochi preti, Wojtyla è molto necessario alla nostra diocesi. E in futuro sarà molto necessario alla Chiesa universale». Se Karol Wojtyla avesse ottenuto il permesso di entrare nel Carmelo, probabilmente non sarebbe mai diventato Papa.

Il primo incarico che don Karol riceve in patria fu quello di cappellano nella chiesa dell'Assunzione di Nostra Signora, a Niegowic, piccolo paese ai piedi dei Carpazi. Ma dopo otto mesi è richiamato a Cracovia, nominato cappellano della chiesa di San Floriano, centro di riferimento spirituale degli universitari.
In Polonia, come negli altri Paesi dell'Est, imperversava il comunismo staliniano, che stava ingaggiando una lotta aperta contro la religione in particolare contro la Chiesa cattolica. Intendeva soprattutto strappare alla religione i giovani. E l'arcivescovo affida i giovani della sua diocesi a Karol Wojtyla.

“Ambiente Wojtyla”
A San Floriano Wojtyla avvia corsi di conferenze, incontri, ritiri spirituali, attività artistiche e culturali. Ha un forte ascendente sui giovani. Stando con loro, mette a punto nuove forme di dialogo. E nasce così quel movimento d'avanguardia che lo rende famoso, che plasma alcune generazioni di ragazzi, i quali, in seguito, divenuti uomini, animeranno le rivolte contro il regime comunista, guideranno gli operai di Solidarnosc e contribuiranno in maniera determinante alla caduta del comunismo in Polonia.
Wojtyla osserva che i giovani amano vivere in gruppo, avere un gruppo di appartenenza, e con il suo fascino e il suo carisma riesce a crearne uno che fa tendenza. All'inizio, quel gruppo viene chiamato "Rodzinka" ("piccola famiglia"), poi
diventa "Paczka" ("pacchetto", "branco") e molto più tardi "Srodovinko Wojtyla", cioe "ambiente Wojtyla".
Don Karol cerca di educare i suoi giovani con metodologie nuove. Poichè ogni sua attività è controllata dai servizi segreti comunisti, decide di portare il gruppo, periodicamente, sulle montagne. Il pretesto è quello di trascorrere una settimana di vacanza, dormendo in tenda, facendo escursioni, sciando, attraversando fiumi e laghi in canoa. In realtà in quei luoghi, lontani da occhi indiscreti e da orecchie che avrebbero potuto udire, egli può discutere, parlare, educare.
Quelle gite diventano una tradizione. Si ripetono varie volte l'anno. Wojtyla vi partecipa in borghese, come un laico qualunque. Dal regime comunista è proibito agli uomini di chiesa svolgere delle attività fuori dagli ambienti parrocchiali. Se lo scoprissero, potrebbe essere arrestato. Per questo si camuffa, con vestiti trasandati, a volte maglietta e calzoncini, come uno del gruppo. Per evitare di essere identificato, o che qualcuno avanzi sospetti sulla sua identità, si fa chiamare "zio".

“A questo non si può dire di no”
Contemporaneamente all'attività di educatore inizia quella di docente universitario. Consegue una nuova laurea, questa volta in filosofia, e inizia a insegnare all'università di Lublino. Intensifica anche la produzione letteraria. Pubblica poesie, poemetti, drammi, firmandoli con gli pseudonimi di Andrzej Jawien e Stanislaw Andrzej Gruda.
La fama della sua molteplice attività arriva a Roma. Nel 1958 Pio XII lo nomina vescovo. Ha 38 anni. Quattro anni più tardi, alla morte dell'arcivescovo, il capilolo-della cattedrale di- Cracovia lo elegge vicario capilolare e amministratore temporaneo dell' archidiocesi. Nel 1964 è nominato arcivescovo di Cracovia e nel 1967 cardinale.

Un evento importante, e insieme emblematico, accade nel novembre 1962. Wojtyla arriva a Roma per partecipare, come vescovo, al Concilio Vaticano II. Alcuni giorni dopo viene informato che una sua collaboratrice a Cracovia, la dottoressa Wanda Poltawska, medico psichiatra, 40 anni, sposata, madre di quattro bambine, è stata ricoverata in ospedale, colpita da tumore. I medici decidono di tentare un intervento chirurgico, ma non danno speranze. Wojtyla pensa immediatamente a Padre Pio. Non ha più avuto contatti dal 1948, ma la stima e l'ammirazione per quel religioso erano sempre intatte. Gli scrive una lettera, raccomandandogli la dottoressa Poltawska. Padre Pio, dopo aver letto quella lettera, dice a chi gliela aveva portata: «A questo non si può dire di no». Dieci giorni dopo, parte da Roma una seconda lettera, in cui Wojtyla ringrazia Padre Pio, informandolo che la dottoressa Poltawska era improvvisamente guarita prima di entrare in sala operatoria.

Condanna a morte
Dopo la sua elezione a cardinale, Karol Wojtyla intensifica la sua battaglia contro il regime comunista. Ora rappresenta la Chiesa in modo ufficiale. Rappresenta il Papa. II suo scontro con il materialismo ateo si fa titanico. Il Partito comunista polacco, per ordini ricevuti da Mosca, deve fermare l’attività di quel prelato. Ma non ci riesce. Wojtyla ha un carisma incredibile sul popolo. Organizza manifestazioni religiose, pellegrinaggi ai santuari, cui partecipano decine di migliaia di persone. Folle oceaniche. E davanti a quelle folle, egli pronuncia discorsi infuocati, difendendo i principi calpestasti dall'ideologia comunista. Diventa un uomo molto scomodo per il comunismo. A Mosca si tengono riunioni. I servizi segreti sovietici ricevono l'ordine di eliminarlo. Ma intanto a Roma accadono eventi straordinari, che danno alla vita di Wojtyla un nuovo corso.

Il 6 agosto 1978 il cardinale Wojtyla è in vacanza sulle montagne polacche. Dalla radio apprende la notizia che Paolo VI è morto. Torna a Cracovia e parte per Roma. I funerali vengono celebrati il 12 agosto e i128 del mese i cardinali entrano in Conclave. Si tratta di un Conclave molto breve, di un solo giorno, e viene eletto Albino Luciani che prende il nome di Giovanni Paolo I. Wojtyla è amico del cardinale Luciani e torna in Polonia molto soddisfatto di quanto è accaduto.

L’ultima poesia
La mattina del 29 settembre, dopo aver celebrato la Messa, il cardinale di Cracovia sta facendo colazione. Squilla il telefono. Il segretario va a rispondere e torna riferendo che a Roma è morto Giovanni Paolo I. Wojtyla diviene pallido e il cucchiaino che ha in mano gli cade sul tavolo. Non dice una parola, ma si ritira nella sua cappella privata dove rimane per parecchie ore.
Tornato nel suo studio, scrive quella che viene indicata come la sua ultima poesia prima di essere eletto Papa. Un brano che si intitola “Stanislao”. La poesia ha per tema il martirio ed è un commiato da Cracovia. Si racconta che, mentre la scrive, gli si spezza la penna tra le mani.

A Roma partecipa ai funerali di Giovanni Paolo I e rimane per il nuovo Conclave. Anche questa volta si tratta di un Conclave breve, durato appena due giorni. Sono le 18,43 del 16 ottobre 1978, quando le telecamere inquadrano il balcone di San Pietro su cui si sono affacciati alcuni ecclesiastici che, secondo la tradizione, vengono a rivelare al popolo il nome del nuovo Papa. Piazza San Pietro è piena di fedeli. Ma milioni di persone in tutto il mondo seguono l'evento attraverso la radio e la televisione. Il cardinale protodiacono, Peride Felici, annuncia, secondo la formula di rito: «Habemus Papam. Abbiamo il Papa. Sua Eminenza Reverendissima Monsignor Carlo, cardinale di Santa Romana Chiesa, Wojtyla, che ha preso il nome di Giovanni Paolo II».
Si tratta del primo Papa polacco della storia e sono 455 anni che sul trono di Pietro non sale uno straniero. Inoltre, Wojtyla è il primo Papa che proviene da un Paese comunista.

“Se mi sbaglio mi corrigerete”
Il nuovo Papa si affaccia al balcone di San Pietro alle 19,20. Il cerimoniale prevede che non parli, ma dia soltanto la benedizione apostolica in latino. Wojtyla però percepisce uno strano sconcerto tra la gente, una tensione provocata dal fatto che lui è straniero, e desidera cancellare subito quella specie di imbarazzo. Si avvicina al microfono. Il maestro delle cerimonie tenta di impedirgli di parlare, ma non ci riesce.
<<Sia lodato Gesù Cristo», dice il nuovo Papa con voce ferma e armoniosa, che solo leggermente tradisce una parvenza di emozione. Una voce che pare, in realtà, quella di un manager, di un capo di Stato, di uno abituato a parlare alle folle. E continua: <<Carissimi fratelli e sorelle. siamo ancora tutti addolorati dopo la morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da un Paese lontano. Lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana».
Si sente un accento straniero, ma la pronuncia è di una chiarezza esemplare. Le parole "chiamato da un Paese lontano" palesano un velo di commozione e il popolo romano lo sente e risponde con un caloroso applauso. Il Papa continua: <<Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana.. ma se mi sbaglio, mi corrigerete>>. L’applauso ora è oceanico. Il Papa polacco, ha conquistato il popolo romano. Quella frase “se mi sbaglio mi corrigerete”, diventa storica.

Un terremoto
L'arrivo di Wojtyla in Vaticano ha l'effetto di un terremoto. Nessuno si sarebbe mai potuto immaginare la rivoluzione che questo Pontefice provoca.
Dopo un solo anno, ha raggiunto una vasta popolarità mondiale. E un personaggio fantastico. Parla otto lingue. La sua voce e il suo modo di gestire sono quelli di un attore. Il fisico è quello di un atleta. Si sa che anche da cardinale amava andare a sciare sulle montagne o nuotare al mare. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare che avrebbe continuato ad andare a sciare in montagna anche da Papa.
Il giorno dopo il Conclave, comincia a uscire dalle mura del Vaticano e si fa portare al Policlinico Gemelli per trovare un amico malato. Una settimana dopo si reca in elicottero al santuario della Mentorella, cinquanta chilometri da Roma, dove da cardinale amava ritirarsi a pregare. Incontrando il sindaco di Roma, esponente del partilo comunista, lo abbraccia. Riceve in udienza il vescovo Lefebvre, che era stato sospeso a divinis. Decide di andare a fare un viaggio in Messico, Paese anticlericale, dove ai preti è proibito portare in pubblico la veste talare, che non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede, e i suoi collaboratori, compreso il segretario di Stato, apprendono la notizia dai giornali.
Alla fine di gennaio del 1979, va a Santo Domingo e in Messico; a giugno in Polonia, a settembre in Irlanda, a ottobre negli Stati Uniti e alla fine di novembre in Turchia. Paolo VI in quindici anni aveva intrapreso nove grandi viaggi fuori dall'Italia; Papa Wojtyla ne ha fatti già cinque in un solo anno.
Con il suo arrivo in Vaticano, i cambiamenti sono all'ordine del giorno. Sembra che per ogni dicastero, ogni congregazione, ogni prefettura, ogni ufficio sia passato un vento vivificatore. Dappertutto si lavora a pieno ritmo, come nessuno ha mai visto in quegli ambienti.

Tutti contro
Non tutti però sono entusiasti. I progressisti lo chiamano "il Papa del no". Durante il suo primo anno di Pontificato, dice no all'aborto, no al divorzio, no alla pillola, no al sacerdozio alle donne, no alla omosessualità. no al matrimonio dei preti, no alle esperienze prematrimoniali, attirandosi in questo modo le ire di tutti quei movimenti impegnati nella rivendicazione di varie libertà.
Ma neanche i conservatori stanno dalla sua parte. Si scandalizzano perchè rompe certi schemi considerati sacri. Criticano il suo comportamento personale, il suo modo di lavorare senza burocrazia. Il fatto che spesso interviene per risolvere personalmente i problemi senza ricorrere alle tradizionali vie diplomatiche. Dicono che il suo ritmo di lavoro è mostruoso. I Papi avevano sempre tenuto le udienze al mattino, Giovanni Paolo II le tiene anche nel pomeriggio e perfino alla sera.
Nell' estate del 1979 scoppia il caso della piscina. II Papa chiede che gli venga costruita una piscina, e la sua richiesta diventa un grosso scandalo all'interno della Chiesa. Anzi, le piscine dovevano essere due: una in Vaticano e una a Castelgandolfo. Quando gli dicono che forse non è conveniente per un Papa spendere soldi per lo sport, mentre nel mondo tanta gente muore di fame, Giovanni Paolo II risponde: «Costa più una piscina o un altro Conclave?», facendo intendere che la piscina gli serve per mantenersi in salute. Infatti, aveva una malattia alle ossa che si poteva combattere solo con molto movimento.

I dirigenti dei vari Paesi comunisti si rendono conto che la popolarità di Wojtyla è deleteria per loro. Decidono di contrastarla con la diffusione di notizie false. Viene fondata una agenzia internazionale di informazioni, con sede a Roma; che deve raccogliere e divulgare tutto quello che in qualche modo può screditare il Pontefice. Uno dei giornalisti polacchi, che fa parte di quell'agenzia, confidandosi con un collega italiano, dice: «II mio compito è difficile. Quando mi metto a tavolino, non so mai cosa scrivere. I miei articoli devono rispettare queste tre esigenze: non posso parlare bene di questo Papa perchè il mio governo me lo ha proibito; non posso parlarne male perchè in Polonia succederebbe una guerra civile; non posso tacere perché è il polacco più famoso nel mondo».

L’attentato
Ma il regno del Pontefice atleta, stakanovista, infaticabile, superman dura soltanto trenta mesi. II 13 maggio 1981 accade un fatto unico nella storia del papato: l'attentato alla vita di un Papa.
Quel giorno è un mercoledì. Alle 17, Giovanni Paolo II scende in piazza San Pietro per l'udienza generale, come tutti i mercoledì. In piedi sulla sua jeep bianca, sta attraversando piazza San Pietro gremita da 40 mila fedeli, giunti da ogni parte. Si ferma a stringere mani e a benedire bambini.
Alle 17,17 si ferma per prendere in braccio una bambina, la bacia e, mentre la sta restituendo al suo papà, si sentono due spari. Il Pontefice si accascia tra le braccia del suo segretario, monsignor Stanislao Dziewisz, emettendo un gemilo di dolore. La sua veste bianca, all'altezza dell'addome, si colora di rosso.
Qualcuno ha attentato alla vita del Pontefice. Le immagini del Santo Padre, che cade all'indietro colpito a morte, sono trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo. L' umanità resta attonita e incredula.
Quell'episodio resta uno dei fatti di cronaca più eclatanti del secolo Ventesimo. Ma anche uno dei più enigmatici e, per molti aspetti, misteriosi. Lo rivelerà in seguito lo stesso Giovanni Paolo II: «Una mano ha sparato, un'altra mano ha deviato la pallottola». Intendendo dire che "qualcuno" voleva uccidere Giovanni Paolo II, ma una presenza invisibile è intervenuta per impedire che le pallottole colpissero organi vitali provocando la morte.

La pallottola guidata
I soccorsi sono immediati. In 15 minuti, il Papa si trova già al Policlinico Gemelli. II sangue esce abbondantemente. La pressione sanguigna è crollata e il polso risulta quasi impercettibile. II Papa è praticamente moribondo e il segretario gli amministra l'Estrema unzione, ma il Santo Padre non è cosciente.
Viene portato in sala operatoria e sottoposto a un delicato intervento chirurgico. In seguito, il professor Francesco Crucitti, il chirurgo che aveva eseguito l'intervento, raccontò di aver osservato una cosa "assolutamente anomala e inspiegabile". La pallottola si era mossa, nel ventre del Papa, a zig zag, evitando gli organi vitali. Era passata a un soffio dall'aorta centrale: se l'avesse raggiunta, il Santo Padre sarebbe morto dissanguato; aveva evitato la spina dorsale e tutti gli altri principali centri nervosi: se li avesse colpiti, Giovanni Paolo II sarebbe rimasto paralizzato. «Sembrava», disse il professore, <<che quella pallottola fosse stata guidata per non provocare danni irreparabili».

Nella profezia di Fatima
Quelle parole suonano come un campanello d' allarme alle orecchie del Papa. Qualcuno richiama la sua attenzione sul fatto che l'attentato si è verificato il 13 maggio, anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima. Giovanni Paolo II si ricorda che in Vaticano esiste l'incartamento della terza parte del famoso "segreto di Fatima", che allora nessuno ancora conosce. Si fa portare in ospedale quelle carte e le legge attentamente. Viene colpito soprattutto dalla parte centrale, dove trova un chiaro accenno all'attentato. Suor Lucia, riferendo la visione che lei, Francesco e Giacinta avevano avuto il 13 luglio 1917, aveva scritto in quel documento: "E vedemmo un vescovo vestito di bianco. Abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre, con altri vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia. Il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversa una grande città mezza in rovina e, mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino. Giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono con colpi d'arma da fuoco e frecce".

“E’ stato il Maligno”
Karol Wojtyla medita a lungo su quelle parole. Legge e rilegge quel brano del "segreto". Prende contatti con suor Lucia, la veggente ancora viva, per avere chiarimenti. Si riconosce in quel "vescovo vestito di bianco". Deve ammettere che certi episodi della sua esistenza erano stati "visti" prima ancora che lui fosse nato.
L' attentatore, Ali Agca, un giovane turco di 23 anni, è stato arrestato. I magistrati italiani e i servizi segreti di mezzo mondo indagano per capire chi sia e chi abbia armato la sua mano. Anche in Vaticano si susseguono vertici ai massimi livelli per capire, ma il Papa non vuole mai sapere niente. Non vuole seguire le fasi del processo. Al cardinale polacco Deskur, suo amico, che gli chiede perchè si disinteressi completamente di quella vicenda, risponde deciso: «E stato il Maligno a compiere quell' attentato. E il Maligno può cospirare in migliaia di modi, nessuno dei quali mi interessa».

Inizia la “Via Crucis”
L'esistenza di Giovanni Paolo II prende un nuovo orientamento. Il Pontefice atleta, superman, diviene un Papa carismatico, profetico, che guarda agli eventi della propria esistenza e del mondo con un'ottica nuova. Egli capisce che la sua missione è quella di "camminare verso la grande croce posta in cima alla montagna” per la salvezza del mondo. Il Papa forte, sportivo, infaticabile, che tutto il mondo ammira, diviene un Papa sofferente. Da allora, la vita di Giovanni Paolo II è stata una dolorosissima "Via Crucis". Malattie, incidenti, ricoveri, interventi chirurgici si succedono in continuazione martoriando il suo corpo. Basta guardarlo, per capire che è veramente, come qualcuno l'ha definito, "un crocifisso che cammina".

Pellegrino infaticabile
Ma le malattie e le difficoltà non arrestano mai il suo impegno spirituale per il mondo, la sua missione. Una missione intensissima, aperta a tutti, a protestanti, a ortodossi, a ebrei, a musulmani, agli atei. Nel 1986 visita la Sinagoga di Roma: nessun Pontefice lo aveva mai fatto prima. Nel 1993, stabilisce le prime relazioni diplomatiche ufficiali tra Israele e la Santa Sede. Pietre miliari i suoi viaggi nei Paesi dell'Est, a Cuba, a Sarajevo, a Beirut, le sue richieste di perdono, le Giornate mondiali della gioventù, gli incontri a Roma nel corso del Grande Giubileo del 2000. Pubblica 14 encicliche, pronuncia migliaia di discorsi. proclama 482 santi e 1.345 beati.

Ma ciò che contraddistingue in modo particolare il Pontificato di Giovanni Paolo II sono i suoi "viaggi apostolici". E’ lui stesso a rivelare che prese l'impegno con se stesso di andare per il mondo ad annunciare la parola di Dio fin dal giorno della sua elezione a Pontefice. Diviene il "Papa pellegrino".
Sono innumerevoli i viaggi da lui compiuti in Italia per visitare città e parrocchie. Mentre sono 104 quelli compiuti fuori d'Italia. Si è calcolato che abbia percorso circa un milione 170 mila chilometri per andare a predicare il Vangelo per il mondo, una distanza equivalente a nove volte il giro del mondo, tre volte la distanza tra la Terra e la Luna. In questi viaggi ha visitato 130 diversi Paesi, 615 differenti località, pronunciando 2.400 discorsi. Ha continuato a fare il pellegrino fino a quando le forze glielo hanno permesso. Lo ha fatto anche nel corso del 2003, quando praticamente non riusciva quasi a reggersi in piedi. A maggio di quell’anno è andato in Spagna; all'inizio di giugno in Croazia; il 22 giugno in Bosnia ed Erzegovina; dall'11 al 14 settembre ha visitato la Slovacchia e il 7 ottobre il Santuario di Pompei. Sono state per lui fatiche immani. Non camminava più, si faceva portare. E’ un Papa che non si è mai arreso alla sofferenza e agli impedimenti causati dalla malattia, come dimostrano anche gli ultimi mesi, quando, tra un ricovero e l’altro, caparbiamente, non ha mai rinunciato ad affacciarsi a una finestra per rivolgersi al mondo e ai fedeli, anche se non riusciva più a pronunciare parole.

Nella casa del Padre
La sua morte avviene al cospetto del mondo intero, sotto gli occhi delle telecamere. E così i funerali. La bara posta sulla nuda terra, in piazza San Pietro, era attorniata da una folla immane. E in prima fila i potenti della terra: 169 delegazioni straniere, 10 monarchi, 59 capi di stato 17 capi di governo, 12 ministri degli Esteri, 24 ambasciatori, eccetera eccetera. Il tutto scrutato dalle telecamere di 137 catene televisive di 81 Paesi.
In quell’occasione, il cardinale Joseph Ratzinger, che celebrava il rito funebre disse: <<Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice>>. Ratzinger rappresentava in quel momento la Chiesa. Concelebrava quella Messa con 157 cardinali, 700 tra arcivescovi e vescovi, e 3000 sacerdoti. Le sue parole avevano un tono profetico. Erano una specie di riconoscimento della santità di Giovanni Paolo II. Riconoscimento che ora, a distanza di sei anni e un mese, lo stesso Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI, nella medesima piazza, pronuncerà in forma ufficiale, a nome della Chiesa e di Dio.

Renzo Allegri

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