In
questi giorni, gli uomini politici hanno invaso i giornali, le televisioni, le
radio, le piazze, le sale da concerto, i teatri: tutta la nostra vita. Di loro
si discute per le strade, nei bar e perfino in famiglia. Sono esaltati,
ammirati, vilipesi, odiati, esecrati. E’ sempre accaduto in vista di elezioni
politiche. Viene spontaneo ricordare il passato. E solo pochi nomi emergono:
quelli di uomini che, per varie ragioni, hanno lasciato un grande segno.
Il mio pensiero va ad Aldo Moro. <<Uomo politico e accademico italiano>> si
legge su Wikipedia, <<cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri,
presidente del partito della Democrazia Cristiana. Fu rapito il 16 marzo 1978 e
ucciso il 9 maggio successivo da appartenenti al gruppo terrorista denominato
Brigate Rosse>>.
Quasi sempre, Aldo Moro viene ricordato per la sua drammatica fine. E si
dimentica che fu un grande uomo sempre, anche prima del suo martirio, anche
fuori del mondo politico. Infatti, la Chiesa ha già aperto il processo per la
sua beatificazione.
Nel 1969 feci una lunga inchiesta giornalistica su Aldo Moro. Aveva, allora, 53
anni e da 23 anni militava nella politica. Aveva già coperto importanti cariche:
era stato deputato all'Assemblea Costituente, membro della Commissione dei
Settantacinque, sottosegretario agli Esteri, ministro di Grazia e Giustizia,
ministro della Pubblica Istruzione, segretario della Democrazia Cristiana,
presidente del Consiglio, ministro degli Esteri. E prima di iniziare la carriera
politica, era stato presidente nazionale della FUCI (Federazione Universitaria
cattolica italiana) e presidente nazionale del Movimento Laureati Cattolici. Era
inoltre ordinario di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell'università di Roma, dopo essere stato per diversi anni ordinario
di Diritto Penale presso l'università di Bari.
In quegli anni ero inviato speciale al settimanale “Gente” e fui incaricato di
scrivere un ampio ritratto di Moro. Non un ritratto dell’uomo politico, ma
semplicemente “un ritratto dell’uomo”. Nonostante la grande attività pubblica
che aveva già svolto, Moro era il personaggio più sconosciuto che ci fosse in
Parlamento. Nessuno sapeva niente della sua vita, della famiglia, della sua
infanzia, della sua giovinezza, della sua formazione intellettuale. Non
esistevano fotografie familiari, se non una: quella scattata in occasione di una
udienza privata che Papa Paolo VI aveva concesso a lui e a tutta la sua
famiglia.
Inutile
chiedere un’intervista all’interessato perché di questi argomenti non avrebbe
mai parlato con nessuno. Alla signora Moro venne chiesto di poter fare una foto
dell’uomo politico in famiglia, e la risposta fu secca: “No”. Alcuni uomini del
Democrazia Cristiana cercarono di mediare e le telefonarono facendole presente
che, in quel momento, tutto poteva essere utile alla carriera del marito e che
quindi doveva fare un piccolo sacrificio. La signora Moro rispose: <<Se un uomo
vale, non gli servono le fotografie in poltrona circondato dalla moglie e dai
figli>>.
L’unica strada per realizzare quel servizio restava la raccolta di informazioni
dalle persone che avevano conosciuto Moro quando non era in politica. E quella
strada si rivelò la più giusta perché mi permise di raccogliere testimonianze
molto importanti e assolutamente inedite sulla vita privata di Moro, che
dimostrano come egli fosse un cristiano vero ed esemplare fin da quando era un
ragazzo, e tale rimase anche quando era ai vertici della politica.
Moro apparteneva a una famiglia umile. Era nato nelle Puglie, a Maglie, una
cittadina in provincia di Lecce. Suo padre era un insegnante divenuto poi
ispettore scolastico e funzionario del ministero della Pubblica Istruzione. La
madre, Fida Stinchi, era una insegnante elementare.
Quando Aldo aveva sei anni, la famiglia si era trasferita a Taranto dove Aldo
frequentò le scuole elementari, le medie, ginnasio e liceo. Poi la famiglia si
spostò a Bari, dove Aldo si iscrisse all'università e dove si laureò in
Giurisprudenza.
A Bari, a Taranto, a Maglie incontrai vari amici e coetanei di Aldo Moro.
Persone che lo avevano visto crescere, che avevano lavorato con lui ma non in
campo politico. Le loro testimonianze non erano quindi influenzate da interessi
di partito. E raccontavano di un uomo veramente speciale, di un politico con
tutte le carte in regola per servire veramente il popolo e poter poi entrare in
paradiso.
Giovanni Acquaviva era allora direttore del Corriere del Giorno, quotidiano di
Taranto. Conosceva Moro fin dall’infanzia, quando facevano parte tutti e due del
circolo cattolico “S. Francesco d'Assisi” della Chiesa di S. Pasquale a Taranto.
<<Ciò che mi ha sempre colpito in Aldo è la sua incredibile onestà>>, mi disse.
E mi raccontò che quando Moro venne eletto per la prima volta presidente del
Consiglio dei ministri, i magliesi cominciarono a scrivergli di ricordarsi del
paese dove era nato. Un vinaio, che abitava nella casa dove Moro era nato, gli
scrisse che la sua casa natale stava andando in rovina e che qualunque aiuto
sarebbe stato gradito. <<Moro, abituato a rispondere sempre a chi gli scriveva,
non prese mai in considerazione quella lettera>>, mi disse Aquaviva. <<Chi lo
conosce bene sa che si comportò così non perchè non fosse affezionato al paese
natale, ma perchè ricordarsene pubblicamente, ora che era diventato presidente
del Consiglio, lo riteneva un gesto del tutto retorico e quanto mai
sconveniente>>.
Il
professor Nicola Lazzaro fu amico di Moro e suo compagno durante il servizio
militare. Ricordava:
<<Abbiamo dormito sotto la stessa tenda, abbiamo adoperato, in molti casi, la
stessa gavetta. Moro si è dimostrato sempre strettamente ligio al suo dovere,
sino allo zelo. Godeva del rispetto dei compagni e della stima dei superiori.
Era già assistente universitario, ma non ha mai approfittato del prestigio del
suo ruolo. Rifiutava sempre con la massima cortesia i servigi che gli amici
volevano offrirgli. Marciava come tutti gli altri e portava, quando giungeva il
suo turno, il pesante mitragliatore in spalla. Il tenente comandante del plotone
voleva esimerlo dai lavori più faticosi. Moro non accettò mai il favore. Alla
sera studiava e scriveva fino a tardi e, ogni volta, si scusava per l'eventuale
disturbo che mi arrecava>>.
Alla chiesa del Carmine di Taranto incontrai monsignor Michelangelo Ridola che
ebbe un ruolo fondamentale nella formazione spirituale del giovane Aldo Moro.
<<Lo conobbi quando aveva circa 12 anni ed io ero allora studente universitario
ed ero presidente del Circolo “San Francesco d'Assisi” della Chiesa di S.
Pasquale, frequentato da Aldo e dai suoi due fratelli, Alberto e Salvatore. Aldo
era paffutello, parlava piano piano, come ha sempre fatto. Ci si trovava tutte
le sere al circolo e poi andavamo a casa insieme perchè abitavamo nella stessa
via. Aldo faceva la Comunione tutte le mattine ed era religiosissimo>>.
Dopo esseri laureato in Giurisprudenza, Michelangelo Ridola entrò in Seminario e
divenne sacerdote. Tornò Taranto come insegnante di religione al liceo ed ebbe,
tra i suoi allievi, anche Aldo Moro. <<Era il migliore>>, mi disse. <<Dal
ginnasio in poi si guadagnò sempre le tasse per il suo alto rendimento
scolastico. Unica nota negativa la ginnastica: non riusciva a fare la salita
della pertica, il salto in alto e in lungo. I compagni di classe, durante l'ora
di ginnastica, lo prendevano in giro, ma lui non si scomponeva.
<<Diede l'esame di maturità nel luglio del 1934. La sua fu una delle più
brillanti medie della scuola: otto in italiano, otto in latino, otto in greco,
nove in storia e filosofia, dieci in matematica e fisica, otto in scienze e
chimica, otto in storia dell'arte.
<<Per raggiungere questi risultati studiava fino a 18 ore al giorno. Sua madre
venne da me, durante la primavera di quell'anno e mi disse: “Aldo sta preparando
l'esame di maturità: studia continuamente e nel medesimo tempo si è messo in
testa di fare la quaresima completa, non vuole mangiare carne per tutti i
quaranta giorni che precedono la Pasqua. Sono molto preoccupata, temo che mi si
ammali. Cerchi di convincerlo a smettere questa forma di penitenza”.
<<Parlai
con Aldo, ma non ci fu niente da fare. Le sue convinzioni religiose erano
profondissime e quando aveva deciso una cosa, nessuno riusciva a fargli cambiare
idea.
<<In quel tempo c'era dell'attrito fra i movimenti giovanili cattolici e il
fascismo. Aldo Moro era sempre per le soluzioni pacifiche. Durante le
discussioni, esortava alla calma. Non voleva che si ricorresse alla violenza. Fu
anch'egli giovane fascista come tutti. Portava il distintivo con le lettere
P.N.F (Partito Nazionale Fascista), assieme al distintivo dell'Azione Cattolica.
Scherzosamente traduceva le iniziali P.N.F. con queste parole: "per necessità
familiare". Già fin da quel tempo, Aldo Moro e due miei fratelli, che erano i
principali organizzatori del Circolo cattolico di S. Pasquale, era-no pedinati
dalla questura>>.
Antonio Amendola, avvocato, conobbe Aldo Moro a Bari, durante gli anni
dell'università. <<Ma diventammo molto amici più tardi>>, ricordava <<e
precisamente nel novembre del 1943, quando, insieme, fondammo La Rassegna, un
settimanale indipendente che ebbe grande successo. Eravamo ancora ufficiali. Io
ero diventato capo dell'ufficio stampa del governo di Badoglio. Radunai attorno
a me i vecchi amici di università: Aldo Moro, Pasquale del Prete, che poi
divenne rettore dell'università di Bari, Carlo Lavagna e il professor Armando
Regina. Fondammo il primo giornale indipendente italiano. Ci furono difficoltà.
Gli alleati fornivano carta solo ai giornali di partito: noi non eravamo di
nessun partito. Utilizzando le conoscenze che mi ero fatte al Comando Supremo,
ottenni la carta. Il giornale ebbe successo immediato. Vendevamo 50.000 copie.
<<Aldo Moro aveva portato nel giornale le sue idee religiose applicate alla
società. Scriveva con la passione di un missionario e i suoi scritti erano
piuttosto oscuri, ma molto seguiti. Un suo articolo intitolato “La marcia della
fame” fece molto chiasso.
<<Le idee fondamentali che ispiravano la condotta di Aldo Moro erano quelle
religiose. In lui c'era una religiosità enorme. Ricordo che spesso andavo a
prenderlo a casa sua. Lo trovavo nel piccolo studio, arredato con il puro
necessario, con la testa china sui libri di preghiere. Lo chiamavo e lui
gentilmente mi invitava a sedermi, mi metteva davanti un pacco di fogli scritti
a mano e mi diceva: “Leggi queste pagine e poi mi darai un tuo giudizio, intanto
finisco le mie pratiche di pietà”. Rimetteva tranquillamente la testa fra le
pagine del suo libro di preghiere e non c'era verso di distrarlo finchè non
aveva finito.
<<Non
si vergognava di essere religiosissimo. Ostentava in pubblico le sue convinzioni
religiose con una fierezza e una nobiltà tali che nessuno ebbe mai il coraggio
di prenderlo in giro.
<<In quegli anni, Aldo Moro era anche professore di Diritto all'università. Si
recava alle lezioni vestito con la divisa di capitano commissario
dell'aeronautica. Era bellissimo e le donne impazzivano per lui. Le studentesse
si mettevano in prima fila durante le lezioni. Una venne bocciata durante
l'esame ed uscì con il volto rosso per l'emozione e gli occhi sfavillanti per la
gioia. “Perché sei così felice?”, le chiesero i compagni. “Sono stata bocciata e
così potrò ritornare a rivedere quel magnifico uomo”, rispose.
<<Si dice che molte ragazze gli scrivessero lettere interminabili, minacciando
di suicidarsi se Aldo non rispondeva. Lui era di una estrema austerità,
inaccessibile alle normali seduzioni della vita comune. Ricordo che un giorno,
mentre camminavamo per Bari e c'erano molte ragazze che lo seguivano con gli
occhi imbambolati, mi accorsi che Aldo aveva un grosso buco in una calza, sul
tallone. Glielo feci notare, ma lui non ci diede nessun peso.
<<Io non sono del partito di Aldo Moro e non condivido le sue idee. Ma credo che
non ci sia nessuno nella politica italiana che abbia la sua statura morale e la
sua preparazione. Possiede una tenacia incredibile. Non c’è mai stato nessuno
capace di fargli cambiare idea o una qualsiasi decisione, anche di secondaria
importanza.
<<Ricordo che Moro non voleva iscriversi alla Democrazia Cristiana perchè quel
partito, nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), era alleato con i
socialisti e i comunisti. Quando gli si parlava, allora, del partito socialista,
era come gli si parlasse della Banda Giuliano>>.
A Bari, Aldo Moro era conosciuto soprattutto dalla povera gente. I più vecchi lo
ricordavano quando era giovane universitario e militava nella FUCI. Raccontavano
che andava in giro per la città tutte le settimane, a portare i buoni del pane
ai poveri. Sapeva a memoria nomi e gli indirizzi di tutti i poveri di Bari.
Conosceva i dolori, le malattie, le difficoltà, le disgrazie di tutti. Non
parlava quasi mai durante quelle visite ma la sua presenza era un conforto.
Un giovane universitario della FUCI di Bari, mi raccontò: <<A Torre Tresca, un
quartiere della città dove c'erano molte baracche, avevo conosciuto un povero
uomo che teneva corrispondenza con Aldo Moro, allora presidente del Consiglio
dei ministri. Quell'uomo scriveva a Moro raccontandogli le sue disgrazie e Moro
gli rispondeva. Su una parte di quella baracca c'era incollato un ritratto di
Moro. Un lumicino ardeva davanti e intorno, come ex voto, erano incollate tutte
le lettere del presidente del Consiglio. “Lui mi ha sempre aiutato”, diceva
quell’uomo indicando il quadro attaccato alla parete>>
Il dottor Melchiorre, capo ripartizione del comune di Bari, che era stato
allievo di Moro quando questi insegnava all’università, ricordava la severità
del quel docente: <<Il professor Moro>>, raccontava <<durante le sessioni
d'esame, si faceva taciturno più del solito, sembrava costantemente assorto in
altre cose. Faceva una domanda e lasciava che l'esaminando se la sbrogliasse da
solo. Se l'allievo parlava non lo interrompeva anche se diceva cose
completamente errate. Solamente quando questi aveva terminato di parlare
cominciava lui, con calma e dimostrava che l'esaminando aveva sbagliato tutto,
fin dalla prima parola, e, naturalmente, lo bocciava. Ai suoi esami il numero
dei bocciati era altissimo. Gli esami sotto il professor Moro si svolgevano
senza limiti di orario. Io, per esempio, una volta venni interrogato alle undici
di sera, ma qualche mio amico venne esaminato anche alle due di notte.
<<Non
si era mai sicuri di essere promossi. Una volta decisi di dare l’esame di
filosofia del diritto, un esame difficile che tutti gli studenti della facoltà
di Giurisprudenza preferivano dare alla fine del corso di studi. Quel giorno il
professor Moro aveva bocciato moltissimi studenti. Andai all'esame con paura.
Risposi alle domande del professore come meglio potei e poi attesi il terribile
verdetto. Moro mi guardò a lungo, in silenzio,
poi mi disse: “La boccerei volentieri perchè è evidente che lei non ha studiato
con attenzione la materia. Però è riuscito a cavarsela egualmente grazie a una
buona dose di intelligenza: le do 29”>>.
Un impiegato comunale, sempre del comune di Bari, mi raccontò questo episodio
che da solo, dimostra come Moro abbia cercato sempre di agire con estrema
onestà. <<Nel 1945, Moro aveva ottenuto dalla commissione per la requisizione
degli alloggi un appartamento in via S. Francesco d'Assisi. Quando si sposò,
decise di trasferirsi a Roma, con la moglie, in casa dei suoceri. L'abitazione
di via San Francesco non gli serviva più. Andò al commissariato per la
requisizione degli alloggi e disse che metteva a disposizione la sua abitazione.
La cosa, a quei tempi, era tanto inverosimile che l'impiegato allo sportello gli
fece ripetere la richiesta: “Sono venuto a restituire l'abitazione che la
commissione mi aveva assegnato”, disse Moro. L'impiegato si alzò di scatto, andò
negli uffici della direzione e disse al commissario generale Ferraro: “Generale,
venga fuori, per cortesia, c'è un individuo che mi vuol provocare”. Il generale
Ferraro uscì e si trovò di fronte un giovane smilzo, sorridente, che, con un fil
di voce, chiarì ciò che voleva fare>>.
Padre Gregorio Maria Inzitari, domenicano, è stato l’uomo che fu maggiormente
vicino ad Aldo Moro durante gli anni universitari e della guerra. <<Conobbi Aldo
nel 1937>>, mi raccontò << Ero stato mandato come assistente della FUCI di Bari,
l'Associazione “Giuseppe Moscati”, della quale Aldo Moro era presidente. Mi
colpì subito quel giovanotto perchè notavo che veniva alla Messa e alla
Comunione tutte le mattine. Cominciai a frequentarlo anche perchè i nostri
compiti erano quasi gli stessi e scoprii un uomo eccezionale. Moro studiava
dieci ore al giorno e trovava il tempo per dirigere la associazione della FUCI,
per parlare con gli amici dei quali era il confidante di tutte le loro pene.
Questo ritmo di vita lo aveva reso magrissimo, macilento. Mi riferirono che
alcuni anni prima era un grassone. Poi aveva deciso di dimagrire. Faceva molti
chilometri al giorno a piedi a questo scopo, sudando come un dannato. Non smise
finchè non raggiunse il peso che si era prefisso.
<<Aldo
Moro possedeva tutte le caratteristiche richieste dalla nostra regola perchè un
giovane potesse diventare domenicano. Amore allo studio, difesa della verità e
coerenza nell’azione. Pensavo di sviluppare in lui la vocazione religiosa e
sacerdotale. A questo scopo, lo feci entrare nel Terz'Ordine Domenicano. Fece la
vestizione assumendo il nome di Fra' Gregorio Maria. Gli avevo indicato un
modello da seguire, il “capitano santo”, Guido Negri. Aldo era entusiasta di
tutte queste iniziative spirituali, ma sentiva di non aver la vocazione
sacerdotale e allora abbandonammo il progetto.
<<Nel gennaio del 1939, a Roma, Aldo Moro venne eletto presidente nazionale
della FUCI. Il
padre di Aldo, che era un uomo scrupoloso e modesto, si spaventò quando apprese
che il figlio era stato eletto a una carica così importante e venne da me perchè
consigliassi suo figlio a non accettare e gli suggerissi di tenersi lontano dal
chiasso della vita politica. Anche Aldo venne a consigliarsi da me. Non sapeva
se accettare o meno. Io gli risposi: “Tu non hai chiesto niente. Se ti hanno
eletto vuol dire che hanno fiducia in te; vuol dire che il Signore ti affida
questo compito e tu devi svolgerlo con la massima diligenza”. Moro, che era
religiosissimo, accolse l'elezione come un compito affidatogli da Dio.
<<Appena laureato, aveva bisogno di guadagnarsi qualche lira perchè non aveva il
necessario neppure per mangiare. Fui io che gli trovai il primo posto e gli feci
avere il primo stipendio. Conoscevo i padri Gesuiti che dirigevano l'Istituto Di
Cagno Abbrescia. Era rettore padre Pisani, mio amico. Gli raccomandai quel
giovane pieno di promesse e dalla condotta irreprensibile. Venne accettato e gli
fu affidato il compito di insegnare italiano e latino alla terza classe
ginnasiale. Cosa fece durante quell'anno Aldo Moro, non lo seppi mai. Egli
rifuggiva sempre dal parlare di se stesso. Al termine dell'anno lo vidi venire
da me, mesto e preoccupato. Mi disse: “Mi hanno licenziato”. “Perché?”, chiesi
stupito. “Non lo so”, rispose desolato. “Forse per scarso rendimento”, aggiunse.
Andai dal rettore a informarmi. Aldo Moro era stato licenziato perchè i ragazzi
in classe ne combinavano di tutti i colori. Moro era assolutamente inadatto a
mantenere la disciplina. Ogni tanto doveva intervenire il rettore per riportare
la calma in aula distribuendo ceffoni a destra e a sinistra sotto lo sguardo
meravigliato dell'insegnante. Inoltre le lezioni di Moro erano troppo difficili:
gli scolari non capivano niente>>.
Nel
1945 Aldo Moro sposò Eleonora Chiavarelli, una signorina marchigiana, laureata
in lettere, presidente regionale di Azione Cattolica e segretaria di Vittorino
Veronese. Si erano conosciuti durante un congresso della FUCI. Dopo il
matrimonio, la vita di Aldo Moro si divise in due parti: vita pubblica, dedicata
alla politica, all'università; vita privata dedicata interamente alla famiglia.
La signora Moro mise un confine invalicabile fra i due settori e nessuno è mai
riuscito a superarlo.
Quando Moro venne eletto deputato, alcuni amici baresi vollero festeggiare l'avvenimento.
Prepararono una bicchierata. Una delegazione andò a chiamare il "professore" che
certamente era già a casa. Erano infatti le 21,30. Ad aprire la porta venne la
signora Moro. <<Buonasera signora>>, dissero gli amici del deputato <<siamo
venuti a festeggiare il professore>>. <<Mi dispiace>>, tagliò corto la moglie di
Moro: <<ho messo a letto mio marito mezz'ora fa. Era molto stanco, deve
riposare>>. <<Ma, signora>> insistettero gli amici <<si tratta di pochi minuti,
un paio di brindisi e poi viene subito a casa>>. <<Niente da fare>>, rispose la
signora Moro. <<Se volete vengo io a fare il brindisi, ma mio marito non può
essere disturbato>>.
La signora Moro vegliava sul marito con una tenacia irremovibile. Difendeva la
sua vita privata meglio di un poliziotto. Non cedette mai a nessuna pressione.
E non volle mai apparire nell’attività politica del marito. Un collaboratore di
Moro le chiese, una volta, alcune righe per un settimanale femminile. Doveva
esprimere il suo giudizio su un avvenimento. La signora rispose: <<Tenga
presente che per queste dose mio marito è vedovo>>. Un'agenzia fotografica
romana mandò i suoi operatori per riprendere i figli di Moro. La fotografia
doveva servire per un grande servizio su una rivista democristiana. La signora
Moro non permise che venissero fotografati i figli e disse: <<I figli sono miei
e non del partito>>. Eleonora Moro non si fece mai fotografare accanto al marito.
Non partecipò mai a ricevimenti, se non in rarissime occasioni. Non si fece mai
vedere in Parlamento, nelle tribune riservate ai familiari degli onorevoli che
tengono i discorsi.
Renzo Allegri |