Il 12 aprile , María de Montserrat Viviana Concepción Caballé
i Folch, conosciuta nel mondo della lirica semplicemente come Montserrat Caballé,
compie 80 anni. Soprano spagnolo, e più precisamente catalano, è l’ultima delle
grandi regine della lirica del periodo d’oro. Con Maria Callas, che i melomani
chiamavano “La Divina”, Joan Sutherland che era invece “La Stupenda”, Montserrat
Caballé, soprannominata “La Superba”, ha formato un trio di soprani entrati
nella leggenda.
Il titolo “La superba” non era stato dato alla Caballé per un suo atteggiamento
sprezzante, altero, ma era legato alla voce: una voce magnifica, che nel periodo
della sua maturità aveva raggiunto una perfezione assoluta, con un timbro
bellissimo, filature aeree da capogiro, agilità acrobatiche compiute con totale
naturalezza, e ascensioni sconcertanti fino a un si naturale acuto. E accanto a
queste doti vocali, una capacità interpretativa stupefacente.
Certo. Come tutti gli artisti, anche Montserrat Caballé ha avuto il suo periodo
di massimo fulgore che poi a poco a poco ha risentito il logorio della fatica e
del tempo. Ma questo naturale svolgimento delle cose non toglie niente alla
grandezza e alla prodigiosa perfezione della sua arte. E’ stata in attività fino
all’ottobre scorso. Concerti, masterclass, concorsi, serate, e ovunque incantava
con la sua verve e la sua passione. Si è fermata per motivi di salute, ma
avrebbe dovuto tenere un concerto anche il 23 febbraio scorso. Intramontabile.
C’era un critico che è stato famoso non solo per la sua vasta conoscenza delle
voci liriche ma anche per la severità dei suoi giudizi: Rodolfo Celletti. Era
temuto, perché spesso i suoi giudizi “graffiavano” anche artisti leggendari. Per
Montserrat Caballè, Celletti scrisse lodi incondizionate. Nel suo grosso volume
“Il Teatro dell’opera in disco”, le dedica una pagina che è un monumento.
Recensendo una registrazione della “Giovanna d’Arco” di Verdi realizzata nel
1973 con la London Symphony Orchestra diretta da James Levine, si sofferma ad
analizzare dettagliatamente la voce e l’arte interpretativa della cantante
spagnola che di quella registrazione è la protagonista. La Caballè aveva allora
trent’anni ed era nel pieno della sua maturità artistica. La “Giovanna d’Arco”
di Verdi è un’opera poco conosciuta. Fa parte del periodo che Verdi stesso
definì “anni di galera” per l’intenso lavoro cui era sottoposto. Opera che
affronta tematiche nuove in una storia che coinvolge anche il cielo, presenze
invisibili, esperienze mistiche. Forse per questo, mai seriamente
approfondita
dalla critica. Verdi, cercando di entrare in quel mondo, abbandona gli schemi
tradizionali e scrive per la protagonista un ruolo impervio, difficoltoso, privo
di esteriorità, che richiede all’interprete convincimento interiore,
introspezione spirituale, capacità di immaginare probabili atmosfere mistiche. E Montserrat Caballè è l’unica che sia riuscita a dare di quel personaggio
verdiano una interpretazione seriamente convincente. Celletti glielo ha
riconosciuto, scrivendo: “…La parte di Giovanna richiede soprattutto dolcezza
di cavata, abbandono elegiaco, nobiltà di accento e fluidità di fiorettatura.
Qui, con la Caballé, abbiamo il migliore canto che si sia udito, da quando
esiste il disco, nell'ambito del Verdi giovane. L'andante Sempre all'alba ed
alla sera è perfetto. Colpiscono l'espressione casta e ispirata, inizialmente, e
poi la nobile fierezza, realizzata con una purezza vocale assoluta, del
difficile passo Oh se un di m'avessi il dono, che vede la Caballé compiere il
miracolo di far sbalzare la voce dal “fa” diesis in primo spazio al “la” acuto,
per un attacco scoperto, senza manomettere né il ritmo, né l'accento, né il
suono. A parte va notata l'esecuzione prodigiosa della cadenza. Prodigiosa,
aggiungo, più in senso espressivo che virtuosistico, perchè si rifà al clima
mistico e allucinato dell'aria… Quanto al Son guerriera che a gloria t'invita,
trovo che la Caballé l'esegue con un impeto più che sufficiente.. .. Questo non
è un brano virtuosistico in senso tradizionale, non ha fiorettature e ornamenti,
ma richiede scioltezza, rapidità, di articolazione, dominio assoluto del suono.
<<Nel primo atto spicca Fatidica foresta e anche qui la Caballé e impagabile per
l'espressione accorata e nostalgica non meno che per i legati perfetti e per
certi miracolosi pianissimi…Nel Oh perche sui campi di guerra la sua dolcezza
trepidante è incantevole… Infine la scena della morte è un saggio di
trascendentale bravura. C'è una frase, Oh mia bandiera!, per la quale la
partitura annota “rapita in estasi”: la Caballe realizza l'indicazione con una
sapienza vocale e un'eloquenza interpretativa uniche… E che cosa poi sappia fare
nel dolcissimo e trasparente S'apre il ciel, e inutile dirlo. Basta ascoltare>>.
Di fronte a tanto splendore, a tanta bravura assoluta, verrebbe da pensare che
Montserrat Caballé, nel corso della sua lunga carriera, sia stata una diva
inavvicinabile, irraggiungibile. Invece no. Nel periodo del grande divismo delle
interpreti liriche, è stata un’antidiva. Non tanto a parole, ma nella pratica
quotidiana. Sul palcoscenico sprigionava un magnetismo che “stregava” ogni
pubblico. Fuori dal palcoscenico è sempre stata una persona semplice, affabile,
gentilissima, disponibile a farsi fotografare, a firmare autografi.
Nel 1963, quando era all’inizio della grande carriera, venne scritturata per una
“Madama Butterfly” e il Pinkerton era un tenore di nome Berbabe Martì. Cantando
insieme si innamorarono e si sposarono. <<Forse sono l’unica Butterfly che sia
riuscita a farsi sposare dal suo Pinkerton>>, commentava sorridendo. Sono
passati sessant’anni e Montserrat è ancora innamorata di quel Pinkerton dal
quale ha avuto due figli: un maschio che si chiama come il padre e una femmina
che si chiama coma la madre.
Nel 1976, quando Montserrat era diventata un mito, il marito Barnabe Martì smise
di cantare comperò una grande fattoria a un centinaio di chilometri da
Barcellona e si mise a coltivare mandorli, a produrre vino, ad allevare
bestiame. E quella fattoria divenne il rifugio di Montserrat. Tutti i fine
settimana liberi da impegni artistici e le vacanze li ha sempre trascorsi in
quella fattoria.
Nelle interviste è deliziosa, spiritosa, ironica. Ha una straordinaria abilità
nello smitizzare i complimenti che inevitabilmente chiunque l’avvicina si sente
in dovere di farle. Raramente parla di sé. A me piacciono le vicende dei grandi
artisti e soprattutto i racconti dei loro inizi di carriera. Quando avevo
l’occasione di incontrare Montserrat Caballé, le facevo sempre domande sui suoi
esordi in palcoscenico, e le sue risposte erano fuggevoli, spicce, ironiche. Una
sera del febbraio 1982, però, si abbandonò a lunghe confidenze, raccontandomi
finalmente la sua vera storia.
La cantante stava vivendo un momento particolarmente difficile della sua
carriera
Era stato costretta, per una forte indisposizione, a rinunciare a una prima di
grandissima attesa alla Scala, e la sua rinuncia aveva provocato polemiche
terribili. Le avevo telefonato per avere un’ intervista sull’argomento e mi
aspettavo un rifiuto sia pure formulato con la sua abituale gentilezza. Invece,
rispose che era felice di incontrarmi e mi diede appuntamento nel suo albergo.
Restammo a chiacchiere a lungo. Parlammo dell’incidente che aveva suscitato
tante polemiche e anche della storia della sua carriera. Ero sorpreso nel
constatare che raccontava a ruota libera. Avevo il registratore aperto sul
tavolo e lei parlava, parlava quasi volesse liberarsi di ricordi lontani, ma
sempre vivi. Sembrava che con quei ricordi volesse esorcizzare, scacciare,
vincere l’amarezza di quanto era accaduto in quei giorni.
Nella storia della Scala di Milano, la sera del 14 febbraio 1982 è ricordata
come una delle più brutte e turbolente. Doveva andare in scena Anna Bolena di
Donizetti nell'interpretazione di Montserrat Caballé, ma poco prima che si
alzasse il sipario venne annunciato che la cantante era stata colpita da
improvvisa indisposizione.
Come succede in ogni teatro del mondo in simili circostanze, la
rappresentazione avrebbe dovuto esserci egualmente con la cantante sostituta,
che in quel caso era l'americana Ruth Falcon, già truccata e vestita per entrare
in scena; ma il pubblico non lo permise. Gran parte degli spettatori,
soprattutto i loggionisti, amareggiati e delusi per l'assenza della grande
Caballé, si abbandonarono a violentissime scene di protesta, con grida,
insulti, schiamazzi, fischi all'indirizzo della cantante, del sovrintendente
della Scala, Badini, e del direttore artistico, Siciliani.
Inutilmente il maestro Giuseppe Patané, che avrebbe dovuto dirigere Anna
Bolena, si presentò al proscenio nel tentativo di calmare gli animi. Lo stesso
fece Giulietta Simionato, una delle grandi beniamine del pubblico scaligero:
tutti e due furono cacciati a fischi. Dopo oltre mezz'ora di tumulti, l'opera
venne rinviata.
Era la prima volta che alla Scala accadeva una cosa del genere. Il teatro era
esaurito in ogni ordine di posti. Molti biglietti erano stati venduti al
mercato nero, a prezzi molto elevati. C'erano appassionati giunti da altri Paesi
europei, dall'America e perfino dal Giappone. La serata avrebbe dovuto essere
storica. Infatti l'avvenimento era stato preparato meticolosamente e aveva
suscitato vastissima attesa in tutto il mondo musicale.
Anna Bolena è un'opera estremamente difficile e viene rappresentata di rado per
l'impossibilita di trovare una protagonista adatta. Dopo la prima esecuzione
al Teatro Carcano di Milano nel 1830, e qualche ripresa negli anni successivi,
era uscita dal repertorio. Era stata riesumata nel 1957, da Maria Callas, con
una interpretazione eccezionale. Quell'edizione scaligera, con la regia di
Lucchino Visconti, scene e i costumi di Nicola Benois e la direzione di
Gianandrea Gavazzeni è, infatti, ancora ricordata come un fatto artistico che
non ha riscontri.
Dopo la Callas, nessun'altra cantante ebbe più coraggio di affrontare Anna
Bolena alla Scala. Qualche soprano tentò di farlo in altri teatri, ma con esiti
scarsamente brillanti.
Da tempo, però, alla Scala si pensava di rompere l'incantesimo e riproporre
l'opera di Donizetti. E perchè l'operazione avesse la più ampia
giustificazione, si pensò di programmarla per il venticinquesimo di quella
della Callas e nell'identica edizione di allora, cioè con la stessa regia, le
stesse scene, gli stessi costumi.
Fin dalle prime prove, però, erano sorte strane difficolta. Le cose non andavano
per il verso giusto. <<C'e il fantasma della Callas che si aggira inquieto>>,
diceva qualcuno scherzando. <<Quest’opera è stregata>>, aggiungeva qualche
altro, riferendosi a fatti accaduti recentemente. Maria Chiara, quattro mesi
prima, ottobre 1981, aveva interpretato Anna Bolena al Regio di Torino ed era
arrivata al termine distrutta dalla fatica e non aveva potuto fare le repliche.
La stessa Caballé, a Barcellona, in gennaio, mentre cantava Anna Bolena era
finita in clinica.
<<Sono situazioni che capitano>>, mi disse quella sera la Caballé. << Purtroppo,
il pubblico milanese non ha accettato che un'altra cantante mi sostituisse, e
tutti i guai sono nati da lì. Il pubblico sa che quando sto bene non mi
risparmio. All'inizio di febbraio, quando sono venuta alla Scala per il mio
recital ho continuato a concedere bis anche se cantavo da quasi tre ore>>.
Quel recital era stato trionfale. Il pubblico non finiva di gridare per
l'entusiasmo. La Caballè aveva concesso otto bis. Ed era stato quel successo
strepitoso ad aumentare le attese per Anna Bolena. Da lei molti si aspettavano
quel miracolo che dopo la Callas nessuna cantante era più riuscita a ripetere.
<<Se avessi preso il raffreddore, l'avrei superato facilmente>>, mi disse la
Caballé <<ma con la gastroenterite non si scherza: ti debilita e richiede
maggior tempo per guarire.>>
Montserrat Caballé era ancora sofferente e parlava con amarezza. Era molto
addolorata per quanto accaduto contro la sua volontà. E fu lei ad andare,
spontaneamente, ai ricordi della sua infanzia rivelando che alle spalle del suo
successo c’erano stati anni di miseria, di privazioni, di umiliazioni, di
fatiche e anche di fame.
<<Imparai ad amare la musica da bambina>>, mi raccontò. <<I miei genitori
erano molto poveri, ma tutti e due appassionati di musica classica. Si
risparmiava su tutto per poter comprare qualche disco o i biglietti per un
concerto. In casa si parlava sempre di musica sinfonica, mai di opere liriche.
II melodramma non piaceva ai miei, e di conseguenza non piaceva neppure a me.
<<Cominciai a studiare musica a otto anni, ma senza alcuna prospettiva, solo
per passione. Andavo a lezione da amici di famiglia. Terminate le elementari,
dovetti mettermi a lavorare. Mio padre era molto ammalato. Durante la guerra
civile era stato colpito in pieno petto da una pallottola che aveva provocato
lesioni all'aorta. Si era salvato grazie a una serie di delicati interventi
chirurgici, ma non poteva assolutamente affaticarsi. Nella ditta in cui
lavorava gli avevano affidato incarichi sedentari, ma, nonostante ciò, spesso
era costretto a lunghi periodi di riposo.
<<Per dare una mano all'economia familiare, trovai impiego come "fazzolettaia".
Dovevo tagliare fazzoletti, confezionarli, metterli nelle scatole. Mi
annoiavo e soffrivo. II mio lavoro era poco retribuito, ma ero orgogliosa di
aiutare la famiglia.
<<Pur lavorando, continuavo a studiare musica. Quando facevo solfeggio, i miei
insegnanti si meravigliavano per il colore della mia voce. "Dovresti studiare
canto", mi dicevano. Non ci pensavo. Come ho detto, non amavo l'opera. Però le
insistenze dei maestri e degli appassionati di lirica stuzzicarono
terribilmente la mia curiosità, e allora cominciai ad assistere a qualche opera
lirica al "Liceo" di Barcellona.
<<A teatro dovevo accontentarmi dei posti più economici. Mi recavo alle recite
molto presto perchè mi piaceva assistere all'arrivo degli artisti. Ero attratta
dalle automobili lussuose delle cantanti, dai loro vestiti, dalle pellicce, dai
gioielli. "Se possono permettersi tutto questo", mi dicevo "vuol dire che
cantare rende bene". Poi, dentro di me, fantasticavo: "Tutti mi dicono che ho
una bella voce. Se facessi carriera, potrei aiutare i miei genitori: mia madre
non dovrebbe più faticare; mio padre potrebbe finalmente riposarsi; mio
fratello Carlo potrebbe studiare". A poco a poco, questi ragionamenti mi
convinsero, e decisi di tentare la carriera lirica. La mia scelta, quindi, non
fu suggerita dalla passione per l'opera, ma dalla prospettiva di guadagnare
abbastanza per aiutare tutti i miei cari e per uscire dalla miseria.
<<Per studiare canto bisognava andare al Conservatorio, e occorrevano soldi.
Pensai di chiedere aiuto a una persona molto nota a Barcellona: il signor Jose
Antonio Bertrand. I Bertrand erano quattro fratelli e tre sorelle: gente molto
ricca, ma anche buona e generosa. Avevano regalato alla città due ospedali, un
istituto per handicappati, una chiesa e aiutavano gli artisti. Esposi la mia
idea in famiglia, e tutti l'approvarono. Scrivemmo allora una lettera al signor
Antonio, e restammo in attesa di una sua risposta.
<<Antonio Bertrand esaminò la mia richiesta. Si informò presso le persone che mi
conoscevano e decise di aiutarmi. Mi convocò nel suo ufficio. Vi andai con mia
madre. Bertrand aveva già fatto i conti di quanto mi occorreva per il
Conservatorio e voleva dare i soldi a mia madre. "Per favore, li tenga lei e
paghi ogni mese", rispose mia madre: "se mi trovo in casa tutti questi soldi,
potrei essere tentata di spenderli per qualche altra necessità della famiglia".
<<Solo in seguito ci rendemmo conto che in quel modo avevamo dato un ulteriore
disturbo al signor Bertrand. Lui era un grande industriale e aveva i suoi
affari da seguire. Ma fu buono: vista la semplicità di mia madre, accettò di
accollarsi anche la noia di pagare ogni mese la mia retta al Conservatorio.
<<Feci gli studi con buon profitto. A 21 anni ero diplomata. Ora bisognava
cominciare la carriera. Credevo fosse facile. Decisi di tentare i primi passi
in Italia, nel Paese del bel canto. Con mia madre feci un viaggio a Milano e mi
presentai a varie agenzie per le audizioni, ma da tutti mi sentii rispondere
che per me non c'era posto. Tornai in Spagna avvilita e depressa.
<<Dopo qualche tempo, venni in Italia per la seconda volta, decisa a farmi
strada a qualunque costo. "Comincerò da Napoli e farò audizioni in tutte le
città”, mi dissi. "Troverò almeno un teatro disposto a darmi lavoro". Ma fu una
fatica inutile. Nessuno aveva fiducia nella mia voce. Qualcuno mi rispondeva
gentilmente, qualche altro in modo brusco o addirittura brutale. A Roma mi
dissero che non ero fatta per la lirica e che avrei fatto meglio a cambiare
mestiere.
<<Allora ero giovane, bella e magra. Qualcuno mi faceva capire che avrei potuto
trovare lavoro se mi fossi mostrata "gentile". Queste proposte mi umiliavano.
Riuscivo a liberarmi da quegli scocciatori con uno stratagemma, forse ridicolo
ma che funzionava sempre. Quando mi venivano fatte quelle proposte, rispondevo
con tono umile: "Mi dispiace, ma non posso: sono cattolica". Mi guardavano
frastornati e mi lasciavano perdere.
<<Solo a Firenze ebbi una risposta incoraggiante. Il direttore artistico era
Francesco Siciliani. La mia voce gli piacque, e mi scritturo per la La vita
breve di De Falla. Purtroppo, il ministero dello Spettacolo tagliò le
sovvenzioni al teatro e delle undici opere in cartellone diverse furono tolte:
tra esse La vita breve.
<<Anche questo secondo viaggio in Italia fu un fallimento. Ridotta alla fame,
umiliata e delusa, stavo dunque per tornare in Spagna quando qualcuno mi disse
di provare a Basilea, in Svizzera. Lì, finalmente, ebbi la mia prima scrittura:
una parte molto piccola, ma, per cominciare, era sempre qualcosa.
<<Lavorai nei teatri svizzeri e in quelli tedeschi per quattro anni, sempre in
parti modeste. Poi cantai a Barcellona, in Messico, e a Lisbona. Per oltre dieci
anni feci una rigida e dura gavetta. Il grande successo arrivò all'improvviso.
<<La sera del 20 aprile 1965, alla Carnegie Hall di New York, si dava, in forma
di concerto, Lucrezia Borgia di Donizetti. All'ultimo momento fui chiamata a
sostituire la protagonista indisposta. Il giorno dopo ero famosa. Tutti i
critici gridarono al miracolo. Piovvero contratti, offerte favolose. Fui
chiamata subito al Metropolitan. L'anno dopo venni in Italia per fare Il pirata,
a Firenze. Poi passai al Covent Garden di Londra, all'Opera di Parigi. Nel 1970
arrivai alla Scala. Il resto è una storia che tutti, ormai, conoscono>>.
Storia. Storia magnifica, che ha visto questa grande artista protagonista di
spettacoli in tutto il mondo, interpretando 130 ruoli, scritti da 90 compositori
che vanno dal Settecento al nostro tempo. Per riuscire a entrare nella
psicologia di tanti personaggi, piegando la voce alle esigenze stilistiche di
autori vissuti in periodi molto diversi l’uno dall’altro e ottenendo sempre
risultati di alto valore, occorre, oltre ai mezzi vocali, una intelligenza, una
preparazione culturale e una capacità introspettiva di altissimo livello. Questo
è il patrimonio artistico che Montserrat Caballé ha messo insieme nella sua
lunga carriera e che, per fortuna, può essere tramandato nella storia da una
serie di incisioni discografiche ufficiali e da molte altre live e amatoriali.
Montserrat Caballé non si è fermata all’opera lirica. Ha espresso la sua innata
e irrefrenabile passione per la musica anche in operette, “zarzuele” e canzoni
tradizionali e moderne. Ha partecipato a diversi concerti con artisti di musica
leggera, in particolare con Freddy Mercury, che aveva per lei una autentica
venerazione, e con Al Bano, che la adora. La signora Caballé, oltre a grande
artista è una persona straordinaria che conquista tutti quelli che avvicina.
C’è un particolare nella sua vita che mi ha incuriosito. Controllando la sua
attività artistica, ho notato che tutti i Natali li ha sempre passati a
Barcellona. Cioè, a casa. In famiglia. E questo non mi ha meravigliato perché
per lei la famiglia è al di sopra di tutto, anche della musica. Quindi, il
Natale ha sempre voluto farlo in famiglia. Però, ho notato che ad ogni anno a
Natale teneva un concerto nella sua città. E gli ho chiesto perché.
<<Per ringraziare Jose Antonio Bertrand, il mio benefattore>>, mi ha risposto.
<<Quando cominciai a guadagnare, andai con mia madre a restituirgli i soldi che
mi aveva prestato. Egli si offese, non volle niente. Mi disse solo: "Per favore,
non dimenticare mai la nostra Barcellona". Risposi: "Non sarà facile ora che i
contratti si accavallano". "Ma tu non vorrai passare il Natale lontano da casa",
disse lui. "No, mai", risposi. Da allora ho sempre fatto il Natale in famiglia
e ad ogni Natale ho tenuto un concerto nella mia città per ingraziare quel
grande benefattore>>.
Renzo Allegri
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